Condividi su facebook
Condividi su twitter
Il mancato riconoscimento dell'indicazione terapeutica su un farmaco impedisce la cura della malattia rara; in Umbria sono assenti centri di riferimento per questa grave patologia

Gli affetti dalla malattia di Behçet, anche in Umbria, rischiano di diventare ciechi per colpa della burocrazia.  C’è un farmaco, già disponibile, che può contrastare la malattia, la cecità e i disturbi neurologici. Eppure non possono averlo perché il farmaco – si chiama infliximab – non avendo l’indicazione per la malattia di Behçet, non può essere rimborsato.
Per i malati dell’Umbria c’è un ostacolo in più: nella regione non esistono centri di riferimento per la malattia di Behçet. E quindi sono costretti a peregrinare da una regione all’altra, sono costretti ad ‘emigrare’ per avere una diagnosi e anche per ricevere le cure con terapie tradizionali. Figurarsi quanto sia difficile per loro sperare di poter ricevere un farmaco d’ultima generazione.
Il farmaco funziona, lo hanno dimostrato studi scientifici anche italiani e lo sanno bene quei pochi pazienti italiani che, grazie a esso, hanno recuperato la vista e fermato la malattia. Questi pazienti devono ringraziare medici che sotto la propria responsabilità prescrivono infliximab e Asl – sono pochissime- che concedono il farmaco.

Il clamoroso ritorno alle gare dell’olimpionico Francesco Scuderi, che ha sconfitto la malattia grazie a infliximab, ha fatto sorgere la speranza che le istituzioni si convincessero a concedere l’indicazione.
In verità, in attesa dell’indicazione ministeriale, i malati di Behçet dovrebbero poter usufruire dei fondi dalla Legge 648/96, che prevede l’istituzione di un elenco di medicinali erogabili se non esiste una valida alternativa terapeutica, anche quando non abbiano ancora l’indicazione ministeriale.
Se la diagnosi è stata precoce, e quindi si è potuto iniziare presto la terapia con infliximab, si ottiene l’arresto della malattia impedendo, soprattutto, l’evoluzione verso la cecità e lo sviluppo dei danni neurologici. E’ fortunato il paziente che viene indirizzato ad un Centro specializzato dove un’équipe multidisciplinare possa prenderlo in carico.
In questo caso, la diagnosi viene fatta da reumatologi, oculisti, neurologi, dermatologi, gastroenterologi.

Sono pochi i Centri in Italia che hanno un’esperienza sufficiente per formulare una diagnosi. E così molti malati per sentirsi diagnosticare la malattia di Behçet attendono anche tre-quattro anni. Un tempo prezioso perduto. E intanto i sintomi viaggiano verso i danni irreversibili.
La diagnosi si fa attendere anche tre-quattro anni. Non sempre il medico riesce a mettere insieme tutti i tasselli di quel puzzle che è rappresentato dalla malattia di Behçet.
Sono sintomi dermatologici, gastroenterologici, reumatologici, oculistici, neurologici. Solo mettendoli tutti insieme si può disegnare il quadro della malattia. Una delle manifestazioni più gravi è rappresentata dall’interessamento oculare, cioè un’infiammazione dell’uvea posteriore, spesso anche dei vasi retinici.
Un paziente su due nonostante le terapie tradizionali ha una progressiva riduzione della vista fino alla cecità. E poi possono esserci infiammazioni a livello delle arterie cerebrali: meningoencefalite con tutte le pesanti manifestazioni neurologiche che questa situazione provoca. Ci sono anche manifestazioni minori.
 
I malati sono persone fra i venti e i quarant’anni, la media è 33 anni, che alla comparsa dei sintomi stanno vivendo il loro momento migliore.
Quando esplode la situazione è subito grave: afte orali e genitali, eritema nodoso agli arti, disturbi gastrointestinali e principio di artrite. E poi le manifestazioni più gravi, come un inesorabile calo della vista e disturbi neurologici. Il tutto vissuto con una grande stanchezza anche quando ci si alza al mattino.
Una malattia così metterebbe in ginocchio chiunque. Figuriamoci un giovane che sta vivendo il meglio della sua esistenza. Ma le cure, quando sono concesse, funzionano, eccome, lo testimonia l’esperienza di un noto atleta.

E’ il 2003, per Francesco Scuderi – per gli amici “Ciccio” – è il titolo italiano dei 100 metri. Un trionfo.
Ottobre, sempre del 2003, aspettando le Olimpiadi di Atene: febbri continue, ulcere nel cavo orale e la vista che lentamente cala.
Poi, dopo un lungo peregrinare, arriva la diagnosi: malattia di Behçet. Per l’atleta è una condanna che lo porta via dalla pista.
Poi un giorno, navigando in internet insieme alla fidanzata Manuela, scopre che c’è un’associazione, SIMBA, dedicata proprio alla malattia di Behçet. Il segretario nazionale Alessandra Del Bianco lo mette in contatto con il dottor Ignazio Olivieri a Potenza. E’ lui la salvezza.
Conferma la diagnosi e propone un farmaco immunosoppressore, nuovissimo per la terapia della malattia.

Sta subito meglio e può immediatamente eliminare il cortisone che, essendo ritenuto una sostanza dopante, gli avrebbe impedito di gareggiare.
Riprende a vedere, le ulcere se ne vanno e, soprattutto, ritrova la voglia di vivere. Con grande tenacia si rimette a fare gli allenamenti sempre per le Fiamme Azzurre, cioè la squadra degli Agenti di Polizia Penitenziaria.
E arriva il giorno in cui – che emozione – torna a gareggiare. Nel febbraio 2006 ad Ancona negli Indoor 60 risente il sapore di una gara nazionale. Va a Mosca per gli indoor mondiali, arriva 16esimo, agli Europei di Goteborg in finale con la 4×100.
Adesso si allena intensamente perché Pechino non è lontana
e quello è il suo obiettivo.

I centri per la malattia di Behçet in Italia
Gli indirizzi sono sul sito dell’Associazione SIMBA: www.behcet.it. (tel.3294265508)

condividi su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter