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Le comunità straniere hanno bisogno di un luogo, un evento, un punto di incontro per comunicare.
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Alain Libimbi è originario del Gabon ma è dal 1989 che risiede a Marsciano. Ha 43 anni, è sposato, ha due figlie, parla quattro lingue, si sta per laureare in medicina e lavora come autonomo. Collabora con numerose associazioni, tra le quali UmbriaAfrica e Cisl, per cercare di coinvolgere le comunità straniere presenti nel territorio ad una vita sociale attiva. Alain è diventato un punto di riferimento quale raccordo tra stranieri e istituzioni.
Quando sei arrivato a Marsciano, hai avuto difficoltà ad inserirti? “Ho capito subito che l’uomo è un prodotto sociale. Sono io che mi devo adeguare alle regole del Paese che mi ospita. Per questo ho studiato all’Università la lingua italiana. Ho sempre avuto voglia di conoscere ed imparare”.
Si parla molto d’integrazione, ma è molto difficile evitare un pregiudizio iniziale… “Il problema fondamentale è la comunicazione: la base indispensabile per ogni integrazione. Bisogna interloquire con le istituzioni, con le persone. Un punto fondamentale d’incontro sono le associazioni. Per superare il pregiudizio bisognerebbe capire che noi siamo una risorsa. Purtroppo, di frequente, questo non si comprende e la risorsa viene sprecata”.
Com’è il rapporto con le altre comunità presenti nel territorio? “Il punto di unione di tutte le comunità è il lavoro. O meglio: la ricerca del lavoro. Ci siamo trovati spesso di fronte a problemi che riguardavano il permesso di soggiorno, la residenza, il datore di lavoro”.
I servizi pubblici riescono a rispondere alle vostre domande? “I servizi ci sono, ma non sono sufficientemente pubblicizzati. Il lavoro del Comune di Marsciano, ad esempio, è stato straordinario, sensibile, umano. Ma molto spesso, gli stranieri che lavorano qui non si accorgono nemmeno delle opportunità che sono offerte loro”.
Esiste quindi anche un problema di coordinamento tra le varie comunità? “Certo. Il mio impegno è infatti orientato a dare un imput proprio in questa direzione. Dovremmo organizzarci meglio, trovare uno scambio con i rappresentanti degli altri gruppi”.
Cosa si potrebbe fare in pratica? “Ci manca un punto d’incontro comune, la gente si riconosce stando insieme, ci vuole lo strumento per creare la comunicazione che può essere semplicemente un luogo, un evento. Penso al festival interculturale che stiamo cercando di organizzare: una cosa del genere è essenziale per farci conoscere, far sentire la nostra voce e far conoscere la nostra cultura”.
Che ruolo posso avere le scuole? “Sicuramente importante. Lo vedo sui miei figli che sono nati a Marsciano e vanno a scuola qui. Si sentono marscianesi a tutti gli effetti. Sono molto contento. La loro cultura è diventata un insieme di molte istanze che si coniugano facilmente”.
Anche lei, allora, si sente ormai un compaesano?! “Naturalmente, tanto che sto imparando pure il dialetto marscianese!”.

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