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Ricerca sui mastodontici lavori di consolidamento dell'epoca

Dopo i consensi ottenuti due anni fa con lo studio relativo all’acquedotto delle Fontane Secche a Bagnoregio, presentato a Bolsena al 1° congresso nazionale di archeologia del sottosuolo ed ora pubblicato negli atti editi da British Archaeological Reports, l’associazione culturale Toward Sky di Todi si è gettata in un altro lavoro di ricerca i cui risultati saranno esposti nel corso del 2° congresso che si terrà ad Orte dal 6 al 9 aprile.
Questa volta gli speleologi tuderti hanno rivolto l’attenzione sulla loro città, in particolare su di un evento poco studiato e spesso sottaciuto dai volumi di storia e dalle guide turistiche. Si tratta di quel grande cantiere che, in maniera discontinua a causa degli scarsi finanziamenti disponibili,  rimase aperto per quasi un secolo nella zona che va da Via della Piana all’ex Mattatoio comunale in seguito alla disastrosa frana del 1814.
I non facili interventi di bonifica richiesero cifre strepitose di denaro e occuparono decine e decine di persone: muratori, minatori, scalpellini, fabbri e carpentieri venuti anche da lontano per lavorare nella grande impresa.
I vari Governi che nel tempo si susseguirono (Impero Francese, Stato Pontificio, Regno d’Italia) portarono a Todi ingegneri ed architetti famosi sottratti alla costruzione di ricchi palazzi per applicare le loro conoscenze tecniche a cunicoli e muraglioni, cercando di sconfiggere una frana subdola e cattiva che sembrava non volersi fermare mai.
Forse esagerava l’ingegner Ferrari quando nel 1815 asseriva in una sua relazione che “altro non resta a fare che sloggiare dalla città, e scegliersi un sito migliore e più stabile ove potere al coperto delle ingiurie del tempo passare con tranquillità e sicurezza i giorni, e senza timore in dolce sonno le notti”; certo però la frase rende l’idea del clima di paura che in quei tempi, quando micropali e cemento armato erano ancora di là da venire, si respirava in città.
L’entità della frana e del cantiere che ne seguì fu tale da avere un risvolto anche “turistico” in quanto numerose persone venivano dalle città vicine per vedere quelle grandi rovine che così bene esprimevano il gusto romantico di quel secolo. La “Fabbrica della Piana”, il cui ricordo permane nel nome del Viale della Fabbrica, non doveva apparire in maniera molto diversa da un grande cantiere rinascimentale dove le uniche forze lavoro erano quella umana o quella animale e le uniche macchine erano grandi paranchi e gru di legno azionate con ruote a mano.
Per chi fosse interessato alle mille storie che i documenti d’archivio ci rivelano a proposito di questi uomini del cui lavoro ancora godiamo i frutti, l’appuntamento è ad Orte, presso il Cinema Albani, domenica 8 aprile alle ore 10.

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