In tutto il territorio regionale imperversano le sagre paesane organizzate dalle pro loco e dalle associazioni di volontariato. Il loro valore sociale ed aggregativo è indiscusso, ma c’è comunque qualcosa che non va. Si tratta di un problema datato che riemerge con regolarità ogni estate e che è tutto incentrato sulla insufficiente regolamentazione del fenomeno. A chiedere chiarezza è la Confcommercio, associazione di categoria che ha condotto un’indagine presso tutti i Comuni umbri per verificare quanti si sono dotati del regolamento previsto per il rilascio delle autorizzazioni, constatando un’ampia disapplicazione della normativa. A pensare che la legge del 1998 venne pensata proprio per evitare la proliferazione incontrollata, con i conseguenti problemi di sovrapposizione delle date e di concorrenza sleale con le attività commerciali.
Alla luce di quanto accade e delle ricadute economiche negative, la Confcommercio chiede una revisione della legge che autorizzi soltanto le “sagre di qualità, che promuovono il “territorio e le sue tipicità” e propone “l’istituzione di un albo o di un marchio di garanzia” che permetterebbe anche la creazione di circuiti turistici integrati attorno a questi eventi. Altrimenti, sostengono soprattutto i ristoratori, le sagre restano delle iniziative auto-referenziali che macinano soldi in virtù dei privilegi e delle agevolazioni di cui usufruiscono, sia dal punto di vista fiscale che da quello igienico-sanitario e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
La questione investe un pianeta dalle dimensioni enormi: le pro loco umbre (che hanno festeggiato in luglio a Cascia i cento anni) sono infatti 270, ma le sagre paesane arrivano a sfiorare le 1.000 unità). La legge attualmente prevede l’esistenza di due distinte tipologie di manifestazione: una sì legata alla valorizzazione delle tipicità locali, ma l’altra riferita genericamente alla promozione di eventi di volontariato da parte di associazioni, partiti e istituzioni religiose, con l’obbligo di reinvestire i fondi raccolti nell’attività dell’ente promotore. Insomma, al momento non è affatto necessario garantire un’offerta enogastronomica legata alla produzione culinaria territoriale. Come dire che la normativa regionale vigente, pur applicata, non sarebbe comunque sufficiente a mettere freno alla deriva. Da qui l’esigenza, reclamata con urgenza e a gran voce da Confcommercio, di una profonda e generale revisione del settore, in attesa della quale dovrebbero essere introdotti alcuni emendamenti immediati, tra cui una riduzione della durata massima da 10 a 7 giorni, con l’eliminazione della possibilità di far svolgere le feste per due fine settimane di fila e il divieto assoluto di svolgimento di due sagre consecutive nello stesso luogo.
- Redazione
- 9 Luglio 2007
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