“Avanti al centro contro gli opposti estremismi”, recitava un antichissimo slogan democristiano, coniato negli anni ’40 e rispolverato spesso durante gli anni ’60 e ‘70. E allo stesso modo, “avanti al centro contro gli opposti estremismi”, tuonava il comico e socialdemocratico Padre Eterno, modenese da parte di madre, di una canzone di Franceco Guccini, assediato dalle proteste di un Lucifero maoista e “criticone”.
Trent’anni dopo tutti proclamano enfaticamente la morte delle ideologie, ne sorridono, se ne compiacciono, e maledicono la memoria di chi ha contratto questo morbo inspiegabile e incurabile.
E’ stupefacente però come non ci si accorga che il moderatismo nel nome del quale si celebra il funerale delle ideologie non sia nient’altro che l’ultima ideologia, la quale, camuffata da antideologia, ha trionfato dopo aver combattuto a suon di bombe e di mistificazioni mediatiche le sue dirette concorrenti.
Il moderatismo che detta legge attualmente in campo ideologico, per di più, prende spesso le sembianze di un centrismo aggressivo e radicale, direi cossighiano e, in ultima analisi, estremista. Potrebbe sembrare un paradosso, un gioco di parole, ma non lo è.
Il centrismo con cui ci troviamo a fare i conti attualmente, figlio del centrismo più arcigno e bacchettone dell’immediato secondo dopoguerra, è un moderatismo feroce che ha vissuto col solo scopo di impedire l’affermarsi politico della sinistra in Italia. Scopo conseguito, è bene non dimenticarlo, grazie ad una strategia politico-militare cruenta che va sotto il nome, vagamente orwelliano, di Strategia della Tensione.
E’ per questo che solo un estremista di centro, erede della più subdola tradizione cossighiana, può parlare spudoratamente degli anni di piombo come di una zuffa tra ragazzacci, come di un periodo sanguinoso dovuto alle follie uguali e contrarie degli opposti estremismi.
Il conflitto che ha insanguinato l’Italia durante gli anni ’70 (ma anche prima e dopo) non è stato uno scontro tra fascisti e comunisti. Si è trattato di un conflitto eterodiretto, attraverso il quale il centrismo (di cui la DC era il braccio politico e gli stragisti il braccio armato) sfruttava i rossi per combattere i neri e (soprattutto) i neri per contrastare i rossi. E così consolidava il suo potere monolitico e indiscutibile.
L’Italia era il Paese con il più grande partito comunista d’Europa.
Per impedire che questo partito arrivasse al potere un impressionante conglomerato di forze lavorava alacremente, più spesso nell’ombra che alla luce del sole. I Serivizi Segreti, la loggia massonica P2, presieduta dal Gran Maestro Licio Gelli, la perfino più combattiva associazione segreta Gladio: tutti vigilavano affinché il potere politico ed economico restasse in mano ad un blocco moderato-conservatore. Con alle spalle il sostegno discreto ma sempre incombente dei servizi segreti americani, che facevano girare in Europa un manuale su come comportarsi in caso di vittoria elettorale delle sinistre in un paese del blocco occidentale: si andava dalla possibilità di manipolare i risultati del voto all’ipotesi di intervento militare diretto.
Si è soliti far cominciare gli anni di piombo con il 12 dicembre del 1969, il giorno della strage di Piazza Fontana. Con ogni probabilità, una strage di Stato. Ad innescare la violenza, quindi, non sarebbero stati né i fascisti né i comunisti, ma lo Stato. E lo Stato, a quell’altezza, significa la Democrazia Cristiana. Non bisogna dimenticare, del resto, che lo stragismo di Stato comincia molto prima, nasce insieme con la Repubblica: Portella della Ginestra, Palermo, primo maggio 1947. Il Blocco del Popolo (socialisti e comunisti) ha da poco vinto le elezioni regionali in Sicilia, e il bandito Giuliano spara contro i comunisti che celebrano la festa dei lavoratori, inviato da mandanti che si possono definire “parastatali”.
Dal 1947, passando per Milano e Brescia, attraversando il controverso rapimento Moro, fino ad arrivare alla strage di Bologna (strage fascista, è vero, compagno Vicaretti, ma anch’essa commissionata da poteri oscuri vicini a quelli fin troppo chiari con cui vi state per fondere): ecco qual è la vera strada, lastricata di sangue, lungo la quale si è andati “avanti al centro contro gli opposti estremismi”. E si potrebbe con un po’ d’immaginazione prolungare la parabola fino al 2001, fino a Genova, e considerare Carlo Giuliani l’ultima vittima (per ora) di questa vera e propria guerra che si cela dietro la crociata moderata.
Visto che tutti dichiarano indignati di essere stufi di contare le vittime del comunismo e quelle del fascismo e di rinfacciarsele a vicenda, io propongo un nuovo sport nazionale: contare le vittime del centrismo e dell’anticomunismo moderato. Vedrete che verranno fuori numeri molto interessanti.
Oggi come un tempo, non c’è da fidarsi di chi proclama retoricamente “avanti al centro contro gli opposti estremismi”. Centrismo e moderatismo sono sinonimi di conservazione. Quale moderazione, poi, ci propongono i nuovi cossighiani? Quella delle bombe che, vinta la guerra tiepida (non propria fredda, visto il numero dei morti) in Italia e in Europa, vengono ora sganciate sui paesi extraeuropei? Il moderatismo è, nel migliore dei casi, un’illusione, nel peggiore, una menzogna. Non c’è ideologia politica (e il centrismo, lo ripeto, è la più radicata delle ideologie) che non sia aggressiva, e che non miri alla neutralizzazione dell’avversario.
Per di più, dovremmo aver imparato da tempo a diffidare di chi ci invita a dimenticare il passato. Nel passato è depositata la memoria storica di un Paese, è nel passato che la nostra coscienza politica deve trovare la propria identità e la propria legittimazione. Chi esorta istericamente a guardare il futuro, potrebbe avere qualcosa da nascondere per quanto riguarda il passato. E’ scavando nel passato che l’Italia, attraverso il lavoro degli scrittori, degli intellettuali, e anche della gente comune, è arrivato a metabolizzare il fascismo (salvo qualche sempre più preoccupante rigurgito).
A proposito di memoria, e di passato, mi rivolgo per concludere ai compagni della Sinistra Giovanile. Giusto ricordare i meriti dei comunisti e dei socialisti nella costruzione dell’Italia democratica. Giusto rivendicare con orgoglio quei valori (ed io aggiungo il patrimonio di esperienze del marxismo antistalinista, che la sinistra ufficiale tende a dimenticare con troppa disinvoltura, da Vittorini, al Gruppo de Il Manifesto, ai movimenti).
Ma che fine farà questo patrimonio intellettuale e culturale, che fine farete voi rispetto ad esso, quando, fianco a fianco con gli ex democristiani, sarete chiamati a costruire l’identità del Partito Democratico? Siete sicuri che i vostri nuovi soci vorranno ancora che vi chiamate “compagni”? Non credete che vi proporranno un più rassicurante “lupetti”?