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Dichiarata incostituzionale la norma che voleva impedire del tutto l'uso di colloqui tra deputati e senatori, non coinvolti o non perseguibili, e privati cittadini indagati per reati

La notizia è stata coperta dal gran rumore sulle “intercettazioni” Rai Mediaset, ma resta una gran notizia per chi ritiene che “essere un parlamentare” non esime comunque dall’ avere un comportamento corretto e trasparente anche quando non si sconfina nel terreno dei reati.
Il tentativo di proteggere, sotto l’immunità parlamentare, privati cittadini che siano venuti in contatto per non nobili motivi con parlamentari, è naufragato e diventa più difficile per quest’ultimi evitare che delle loro vicende si possa sapere e valutare.
I commi 2, 5 e 6 dell’articolo 6 della legge 140 del 2003, così detta “Boato”, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte Costituzionale.
Con tale legge si voleva evitare la diffusione di eventuali intercettazioni di colloqui tra privati cittadini e uomini politici, quando i primi siano indagabili mentre i parlamentari non siano coinvolti in reati, oppure quando per il perseguimento di questi la magistratura non ottenga l’autorizzazione delle Camere. Si voleva in sostanza evitare che la pubblica opinione fosse indotta a pensare, pur se i parlamentari non erano indagati, che ci sia qualche fondamento nel detto “chi va con lo zoppo impara a zoppicare” e pertanto ledere l’onorabilità dei politici.

In teoria lo scopo era lecito: non sta bene a nessuno che, per il semplice fatto di aver parlato con un indagato, si debbano mettere in piazza i fatti suoi. Però la legge Boato, per proteggere gli incolpevoli parlamentari, finiva per proteggere anche i cittadini disonesti, le cui dichiarazioni venivano cancellate. 
Ma per la Corte la soluzione di non poter utilizzare l’intercettazione anche nei confronti delle persone indagate “rende contrastante il complesso di norme in esame non soltanto con il parametro dell’eguaglianza, ma anche con quello della razionalità”.
In effetti qualsiasi cittadino, incolpevole, avrebbe potuto, in base al principio di parità, chiedere di distruggere intercettazioni di suoi colloqui con il più efferato dei criminali, il quale nei colloqui avesse rivelato di aver compiuto reati, che così sarebbe stato “graziato”.
Pertanto “la declaratoria di illegittimità costituzionale comporta – ha precisato la Consulta – che l’autorità giudiziaria non debba munirsi dell’autorizzazione della Camera, qualora intenda utilizzare le intercettazioni solo nei confronti dei terzi. Invece, qualora si voglia far uso delle intercettazioni sia nei confronti dei terzi che del parlamentare, il diniego dell’autorizzazione non comporterà l’obbligo di distruggere la documentazione delle intercettazioni, la quale rimarrà utilizzabile limitatamente ai terzi”.

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