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L'ateneo umbro, insieme a CNR ed ENEA, ha preso parte al progetto “AMMA” (African Monsoon Multidisciplinary Analysis), alla conferenza mondiale di Karlsruhe (Germania)

L’Umbria, il “cuore” di un’Italia piccola piccola e perciò anch’essa piccolissima sta, in silenzio fino ad ora, operando per cercare di capire come il clima in parti remote del mondo possa influenzare e condizionare quello di casa nostra.
L’ Università di Perugia, insieme a CNR ed ENEA, ha preso parte, come partner del progetto “AMMA” (African Monsoon Multidisciplinary Analysis), alla recente conferenza mondiale di Karlsruhe (Germania), da cui sono emersi importanti risultati sull’influenza del monsone sulla formazione degli uragani atlantici e sugli impatti locali sulle malattie e sulle crisi alimentari nell’Africa saheliana, nonché su come quello che accade a migliaia di chilometri di distanza possa riflettersi sulla vita qutodiana.
Le istituzioni italiane hanno avuto un ruolo chiave. L’Italia partecipa al progetto “AMMA” con 25 ricercatori e 1,6 milioni di euro, oltre all’impiego di apparecchiature tecnologicamente avanzate e di sofisticati modelli di analisi dati.
La ricerca sul ruolo del monsone africano nel determinare il clima globale ed il futuro dell’Africa occidentale è stato al centro della conferenza a cui hanno partecipato oltre 350 scienziati provenienti da tutto il mondo.
L’ENEA, il CNR e l’Università di Perugia, che operano in tutti gli ambiti del progetto, hanno contribuito attivamente alla campagna di misure del 2006 nell’Africa sub-sahariana con misure stratosferiche da aereo, misure di aerosol con una rete di micro-lidar, analisi dei dati satellitari su terra e su mare, e la partecipazione diretta di ricercatori italiani alla campagna.
Hanno migliorato i modelli atmosferici per la previsione degli eventi di precipitazione e coordinato attività di confronto dei modelli climatici a livello internazionale. Sul lato impatti, hanno sviluppato nuovi modelli di previsione dei rendimenti agricoli per le principali colture alimentari.

I lunghi periodi di siccità, nell’Africa occidentale, minano gravemente la possibilità del territorio di supportare la vita dei 230 milioni di abitanti (destinati a diventare 400 milioni nei prossimi 20 anni) favorendo flussi migratori, stagionali o irreversibili, verso i paesi limitrofi con gravi conseguenze sulla stabilità politica della regione, caratterizzata da conflitti per l’accesso alle risorse tra i paesi del Sahel e quelli costieri del Golfo di Guinea. Lo stesso fenomeno è alla base della immigrazione incontrollata in Europa attraverso il Nord Africa.
Un’ambiziosa campagna condotta con aerei attrezzati per osservazioni dell’atmosfera, palloni e misure al suolo, ha permesso di scoprire che il livello di ozono nelle regioni urbane del Sahel e’ superiore rispetto al previsto, con un potenziale impatto sulla salute e sulle coltivazioni.
Sorprese negative sono giunte anche dalle misure di aerosol prodotti dagli incendi e dall’uso di legna da ardere. Questi aerosol possono essere trasportati anche a migliaia di chilometri dalle regioni di emissione, con un potenziale impatto climatico su tutto il continente.
Le osservazioni, condotte con l’aereo M55 e con palloni stratosferici, mostrano che i grandi sistemi nuvolosi tropicali possono trasportare vapore d’acqua fino a 20 km di quota.
Questo fenomeno, ipotizzato dagli scienziati negli anni ’80, può cambiare il delicato equilibrio climatico della stratosfera (la regione atmosferica che si trova fra 15 e 50 km di quota) con un impatto difficilmente predicibile sul clima terrestre.
Circa l’80% degli uragani intensi nasce dalle perturbazioni che arrivano sull’oceano Atlantico dal continente Africano.
Le ricerche più recenti suggeriscono che negli anni più piovosi le perturbazioni africane generano più cicloni tropicali: quindi anni siccitosi vedrebbero meno uragani mentre in anni piovosi ne avremo un incremento.
L’evoluzione del monsone Africano nei prossimi 20-30 anni potrà influenzare la genesi degli uragani più che l’aumento delle temperature superficiali dell’Atlantico.

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