Deserto del Texas: il paesaggio è lo sconfinato west americano; panorami mozzafiato, natura incontaminata e selvaggia. Ma non è il west del mito della frontiera, sinonimo di libertà che abbiamo ammirato nei film di John Wayne o in quelli di Sergio Leone.
Questo west è freddo e terribile come il polo sud. Non una nota musicale si interpone a questo paradossale spettacolo di una asprezza glaciale. Llewelyn, un cacciatore, vi si aggira in cerca di prede. La sua magra battuta è interrotta da un imprevisto: in una piccola valle scorge alcune jeep parcheggiate e diversi uomini stesi a terra. Si avvicina e, oltre ad un vera carneficina, che è l’esito di una compravendita d’una grossa quantità di droga finita male, trova una valigetta con 2 milioni di dollari, non ci pensa due volte e se la porta via. Per Llewelyn inizia qui la vera battuta di caccia; il suo ruolo però, è ora quello della preda.
Il “predatore” assoldato per recuperare i 2 milioni è invece lo psicotico killer Chigurh (uno straordinario Javier Bardem premiato con l’oscar per questa parte). È introverso, inespressivo e con una ridicola capigliatura a caschetto, ma uccide con impassibile freddezza usando una micidiale arma ad aria compressa collegata ad una piccola bombola di gas che porta sempre con sé. Chigurh, già entrato nel pantheon dei grandi cattivi del cinema, è il simbolo di una violenza del tutto svuotata di senso (pure quello estetizzante e ironico di Tarantino). Nelle tenebre di queste sconfinate terre di frontiera l’unico residuo di umanità è rappresentato dalla figura crepuscolare del vecchio sceriffo (T. Lee Jones), disincantato e ancorato al ricordo di un passato ormai morto e sepolto.
Vincitore di 4 oscar (tra cui miglior film e regia) sugli 8 per cui era nominato, Non è un Paese per vecchi, è il fenomeno cinematografico dell’anno, perché ricco di trovate stilistiche che ne fanno un’opera una volta tanto davvero originale e fuori dagli schemi, quanto del cinema tradizionale che di quello indipendente. Dopo due film non eccellenti, gli imprevedibili fratelli Coen firmano dunque il capolavoro dell’anno, superando il pur ottimo Petroliere. Questo però, parafrasando il titolo, non è un film per tutti, perché i Coen se ne fregano d’inseguire i gusti dello spettatore, non puntano a stupirlo con colpi di scena a catena, azioni mirabolanti o con emozionanti scene madre. Al contrario si prendono gioco del classico procedimento di identificazione spettatore-protagonista, divertendosi a demolire tutte le aspettative e le certezze che il pubblico inevitabilmente si fa per gran parte del film.
Niente finale col botto; il film si dissolve nelle parole amare di un uomo sconfitto e disilluso. Il senso di straniamento è totale e la percezione di un vuoto troppo grande provocano reazioni per ognuno differenti: amore, odio, meraviglia, delusione, irritazione, stupore… i fratelli Coen colpiscono nel segno.
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La rabbia giovane, di T. Malick
Le tre sepolture, di T. Lee Jones