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Il presidente della Coldiretti Sergio Marini segnala la migrazione verso nord e verso l'inverno delle colture tradizionali e sottolinea i rischi legati alle anomalie climatiche

L’inverno appena passato ha fatto registrare un calo delle precipitazioni atmosferiche del 27%, che le piogge primaverili potranno forse compensare solo per alcune colture.
È quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna (Isac-Cnr), rispetto al periodo di riferimento 1961-1990.
In molte regioni come Umbria, Marche e Lazio, secondo l’Anbi, si registra un abbassamento delle falde acquifere tale da compromettere, in assenza di fonti di approvvigionamento alternative, la distribuzione potabile per uso umano.

L’arrivo della primavera ormai non segna più il risveglio di una natura che sembra non volersi più addormentare, a causa delle temperature miti invernali.
Lo scorso inverno 2007 è passato alla storia come il più caldo dal 1800, con un’anomalia di +2.27°. Per cui sui banchi del mercato è già possibile acquistare le fave italiane, che tradizionalmente accompagnano le scampagnate del primo maggio.
Gli anticipi di fioritura delle azalee e mimose, così come quelle di coltivazioni precoci, come il nocciolo e il cipresso anticipate di 15 giorni sono state sotto gli occhi di tutti. Tabella di marcia in anticipo di 10 giorni anche per susino ornamentale e gelso, mentre è di circa 5 giorni quella del melo, pero, pesco, susino albicocco e ciliegio.

”A lungo termine sono a rischio tutte le nostre colture di qualità“, ha detto il direttore del centro di Bioclimatologia all’università di Firenze Simone Orlandini.
I vini doc Made in Italy, l’olio e gli ortaggi, sono eccellenti per una peculiare interazione – ha sottolineato Orlandini – tra genotipo e ambiente. Legame che, a lungo termine, si perde per l’eccessiva emissione di gas Co2, metano e ossidi di azoto, di origine antropica, che provocano sbalzi di temperature e meno piogge ma troppo intense per rimpinguare le riserve idriche. Inoltre i ritorni di freddo, come quelli previsti, mettono a rischio le piante fiorite, quando invece dovrebbero stare a riposo”.

“Non é più tempo – ha detto Marini, il presidente di Coldiretti – di monitorare, ma occorre darsi da fare contro il rischio desertificazione, siccità e sconvolgimenti della geografia delle colture nazionali.
In Italia – ha segnalato – la maggiore produzione di pomodoro non è più al sud, ma in Emilia Romagna. Mentre tutta l’ortofrutta arriva a maturazione insieme, stravolgendo logistica e prezzi di mercato.
Va dunque cambiato l’approccio alla questione climatica e al risparmio idrico perché gli sprechi non sono in agricoltura, ma nelle piogge non raccolte negli invasi e nelle dispersioni della rete idrica.
Per sequestrare gli eccessi di Co2 – ha proposto Marini – servono più agricoltura e più vegetazione, anche nei piccoli comuni. Mentre ogni anno vengono persi oltre 120 mila ettari di colture capaci di assorbire Co2 a vantaggio di altre destinazioni, soprattutto di urbanizzazione e industriali.
Va dunque invertita questa tendenza – ha concluso – creando nuove aree verdi in città e nei piccoli centri,  ‘comuni fioriti’ più accoglienti e serbatoi anti-smog”, come prevede il progetto di Aproflor, Città del vino, Anci e Coldiretti con cartellonistica che invita a visitare 106 Comuni fioriti.

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