Sta scuotendo anche l’Umbria, terra in cui la viticoltura rappresenta una componente importante dell’economia regionale – con la presenza di nomi altisonanti, come Lungarotti e Caprai, ma anche con tante altre realtà cooperative e aziende private che producono e commercializzano anche all’estero – l’allarme sulla qualità del vino italiano, messa in dubbio dalle frodi e dalle sofisticazioni venute alla luce proprio in concomitanza con il “Vinitaly”, la più importante manifestazione del settore in corso di svolgimento a Verona, al quale stanno partecipando tutte le più importanti cantine della regione.
Dopo l’esplosione dello scandalo, seguito all’avvio di inchieste che hanno portato ad arresti e sequestri, ci si inizia ad interrogare sulle pesanti ripercussioni a livello economico e di immagine, con la contemporanea diffusione di informazioni che tendono comunque ad escludere pericoli per la salute umana.
“Bisogna chiudere con decisione le porte a tutti i tentativi di frode e sofisticazione per difendere i primati conquistati dal vino italiano senza cadere nella tentazione dell’allarmismo”. È quanto afferma Coldiretti Umbria nel sottolineare che dopo il grande percorso di valorizzazione qualitativa che ha portato il vino italiano alla conquista di ripetuti successi, occorre insistere sulla strada della “tolleranza zero” nei confronti di eventuali episodi devianti.
“Non può essere messo a rischio – sottolinea Coldiretti – il patrimonio di credibilità costruito nel tempo dal vino Made in Italy e da quello Made in Umbria, con una produzione annuale per quest’ultimo di circa un milione di ettolitri. Ben vengano tutti quei controlli che – conclude Coldiretti – possano ribadire che la filiera produttiva umbra è fondata solo su eccellenza, serietà e impegno.
Tornando all’indagine, che toccherebbe sembra anche una struttura umbra, le analisi di laboratorio effettuate sui campioni prelevati hanno evidenziato il mero annacquamento del prodotto vinoso.
L’ipotesi di adulterazione si fonda anche sul rinvenimento di altre sostanze, utilizzate nella sofisticazione.
Le spiegazioni arrivano da una nota congiunta dei ministeri delle Politiche agricole alimentari e forestali e della Salute che riporta quanto riferito oggi sullo stato delle indagini dalla Procura della Repubblica di Taranto, al fine di “evitare inutili e dannose forme di disinformazione”.
Più in particolare, la Procura di Taranto fa rilevare – informa la nota – che «gli accertamenti in corso mirano a verificare il dubbio utilizzo, per quantità o modalità di impiego, nella attività enologica di acido cloridrico, solforico e fosforico, nonchè di sostanze utilizzate anche nella produzione di concimi, quali fosfato ammonico, fosfato biammonico e solfato di ammonio, comunemente impiegate in enologia quali attivatori della fermentazione del vino».