L’iniziativa di erigere un monumento all’eroe dei Mille fu promossa a Todi dalla Società dei Reduci, la quale, il 10 luglio 1880, nominò fra i suoi membri un Comitato, presieduto da P. Leli, cui affidare la direzione dei lavori.
Anche la città di Jacopone alimentò pertanto il vigoroso fenomeno “monumentomania” che determinò in tutta la penisola, all’indomani dell’Unità, una massiccia prolificazione di opere dalle plurime varianti (a figura intera, busti, targhe ecc.) in onore dei cosiddetti “padri della patria”, fra i quali Garibaldi ebbe senz’altro maggior riconoscimento.
Al progetto non fecero mai mancare il proprio sostegno l’autorità municipale, che più volte stanziò fondi a suo favore, la Filodrammatica tuderte, mediante il ricavato di spettacoli appositamente allestiti, e la Deputazione provinciale che elargì £. 300.
Gli apporti economici maggiori giunsero tuttavia dalla cittadinanza grazie all’apertura di pubbliche sottoscrizioni, sebbene il Comitato, per la riscossione di quest’ultime, più volte fu costretto a spronare i concittadini dalle pagine della stampa locale; quest’ultima (con “Il Cittadino”, “Il Mio Paese” e “L’Aquila”) monitorò con costanza e passione l’intera vicenda del monumento, non esitando in egual modo a criticare ed attaccare il Comitato stesso, il quale più volte, a causa di alcune incertezze, fece sorgere intorno al suo operato vivaci polemiche.
Notevoli difficoltà finanziarie e contrasti di opposte fazioni rendono quindi la questione del monumento alquanto tormentata; tra le critiche più frequenti, quelle avanzate da chi percepisce l’erezione dell’opera come una spesa del tutto inutile per un paese travagliato da ben più gravi problemi: ne è esempio la proposta, formulata da alcuni cittadini, di realizzare con i fondi raccolti un ricovero di mendicità anziché una scultura, in modo da tramutare l’opera in “monumento di beneficenza […] più consono alle idee sostenute dall’eroe mondiale”.
Il Comitato in quell’occasione ribadisce tutta l’importanza della statua asserendo con fermezza come “nella gara delle città sorelle per eternare le sembianze del cavaliere errante dell’Umanità, Todi non può e non deve rimanere a nessuna seconda”.
Nel 1885, il concorso artistico vide vincitore il bozzetto del perugino G. Frenguelli rappresentante Garibaldi in posa con la spada e in atteggiamento riflessivo “come pensante ai futuri destini della patria”. Il 18 settembre 1885 fu stipulato il contratto tra l’artista e il Comitato con il quale si convenne che l’altezza della statua dovesse essere di 2,5 metri e l’uso da parte dello scultore di marmo statuario di seconda qualità.
Ad A. Lupattelli di Todi fu invece commissionata la realizzazione del basamento, eseguito su disegno dello stesso Frenguelli, nel quale non mancano l’emblema cittadino e alcuni nomi fra i luoghi più significativi dell’epopea garibaldina; al suo interno, inoltre, il Comitato murò una bottiglia di cristallo contenente il sunto della vicenda.
Il monumento fu eretto in Piazzetta, che per questo acquisì il nome di piazza Garibaldi; alla corretta ubicazione dell’opera contribuì l’abbattimento dell’edificio noto come la “Scoletta”, che dal 1466 sorgeva accanto a Palazzo del Popolo, operazione che, oltre a regolare la frenetica attività mercantile dell’area, permise altresì la riapertura dei voltoni sotto lo stesso Palazzo comunale.
Al cospetto d’illustri personalità della politica nazionale, la statua fu inaugurata il 24 agosto 1890; presente anche l’insigne scultore romano Ettore Ferrari che salutò Frenguelli come l’autore del più bel monumento innalzato in Umbria in onore del nizzardo.
Dietro quest’ultimo, svetta alto e fiero il cipresso piantato nel 1849 da I. Petrini e F. Angelini a ricordo del passaggio dell’eroe per la città, tanto che si può oggi asserire come in piazzetta i monumenti garibaldini siano due, quello “pre” e quello “post” unitario.
Spetta a noi impedire che entrambi siano velati dall’oblio e continuino, nella loro precipua qualità di documenti, a “parlare” al di là degli ondivaghi giudizi critici del passato e del presente: anche attraverso di loro, infatti, è possibile ricostruire l’identità della città, le sue radici, le vicende comuni che si sono vissute.