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L'annullamento da parte della Cassazione di una condanna inflitta dalla Corte d'appello di Perugia per possesso di marijuana apre pesanti interrogativi sulla possibilità che lo Stato italiano rimanga laico

Una sentenza della Corte di Cassazione in merito ad una condanna – a un anno e quattro mesi di reclusione e quattromila euro di multa – emessa dalla Corte di Appello di Perugia, nel 2004, nei confronti un 44 enne sorpreso durante un controllo dei carabinieri mentre dormiva in un’auto, posteggiata in una piazzola autostradale, con un etto di marijuana a bordo, sta creando sconcerto.
Comprensione a maglie larghe c’è stata infatti, da parte della Cassazione, per i seguaci della religione etiopica ortodossa rastafari che detengono marijuana in abbondanza per fumarla a fini “meditativi” e migliorare la capacità di preghiera.

La Suprema Corte ha, infatti, annullato con rinvio la sentenza di condanna rimproverando la Corte di Perugia per non aver considerato “la religione di cui l’imputato si è dichiarato praticante”, escludendo, di conseguenza, che potesse detenere così tanta marijuana – sufficiente per 70 spinelli – per uso personale.
Proprio gli ‘ermellini’ spiegano che “secondo le notizie relative alla caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come erba meditativa, come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico teso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di Re Salomone, chiamato ‘il Re saggiò e da esso ne tragga la forza”.

Adesso toccherà alla Corte d’Appello di Firenze riesaminare la questione. Intanto – in contrasto con l’orientamento rigido sposato dal Primo presidente Vincenzo Carbone – sembra essere scattata una nuova controffensiva delle toghe favorevoli alla depenalizzazione dei reati legati al consumo delle droghe leggere.
E in questa ultima azione sembra siano riposte le speranze di quanti ancora credono al dettato costituzionale per cui ogni cittadino è eguale di fronte alla legge indipendentemente dalle sue convinzioni religiose.
I giudici della Cassazione, infatti, sembrano aver dimenticato questo aspetto e non considerato che la marijuana, al di là del dibattito in corso sia sulla dannosità sia della convenienza a contrastare la diffusione di una sostanza che fa ricchi gli spacciatori, o è da proibire o è da consentire per tutti.

Prendere in considerazione la religione praticata o dichiarata è un pericolosissimo precedente per la laicità dello Stato e per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Ci si chiede come si potrà condannare un cultore di bigamia, se prevista dalla sua religione, ovvero un qualsiasi altro cittadino che attui pratiche previste dalla sua religione ma aborrite dalla società italiana.
C’è il rischio che anche in Italia ci si avvii a regimi giudiziari teocratici o più semplicemente che tutti gli spacciatori si dichiarino “rastafari”.

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