Nella disperata illusione di compiacere al “dio mercato”, molti produttori di uva da tavola, si spingono a una serie di “trattamenti” (uno a decade da maggio a dicembre) con prodotti fitosanitari di sintesi variamente combinanti tra loro.
Fa specie come tutto ciò sia perfettamente consentito dalla normativa italiana ed europea, la quale impone il rispetto delle soglie massime di residuo.
Ma qualche volta la palla sfugge di mano e allora può succedere che secondo lo studio di Pesticide Action Network, fra cui l’italiana Legambiente, dalle analisi di 124 campioni di uva provenienti da 18 catene di supermercati in cinque Paesi europei, escono fuori dati allarmanti ma per niente sorprendenti.
“In media – si legge nel rapporto – la presenza di pesticidi è risultata pari a 0,65 milligrammi per ogni chilo d’uva. I due campioni più contaminati arrivavano a 4,3 milligrammi e a 3,8 milligrammi per chilo, ed erano stati acquistati in un supermercato tedesco. Il 20% dei grappoli mostrava tracce di 10 o più pesticidi, con un record francese di 16 pesticidi”.
È proprio la “contaminazione multipla” la più preoccupante, dal momento che espone i consumatori a sostanze che possono agire in sinergia.
Addirittura, su tre campioni – tutti made in Italy – sono stati ritrovati pesticidi vietati dalla legge. I grappoli d’uva su cui sono state effettuate le analisi provenivano esclusivamente da coltivazioni intensive convenzionali – l’agricoltura biologica vieta invece i prodotti chimici di sintesi – ed erano cresciuti soprattutto in Italia e in Grecia.
Vittime di questa lucida follia, di certo i consumatori, ignari ma non tanto se si lasciano ingannare solo dall’estetica civettuola della grande distribuzione.
Sicuramente i produttori agricoli, che anche in tempo di recessione economica per la coltivazione di un ettaro di uva da tavola con il metodo convenzionale per ogni Kg di uva da immolare ai pretestuosi “standard qualitativi del “sacro mercato del convenzionale”, sono disposti ad anticipare dai 35 e i 50 centesimi (di cui buona parte vanno alle multinazionali del fitofarmaco). Un prezzo di produzione che difficilmente riusciranno a recuperare.
Nell’anno in corso il prezzo dell’uva convenzionale sulla pianta, solo all’inizio della raccolta (settembre) ha sfiorato i 60 centesimi il chilo, per poi crollare irrimediabilmente ai 30.
Di contro, le oramai sempre più numerose aziende bio che producono uva da tavola, sono stressate da costi di produzione documentatamene più bassi.
Felici di sostenere addirittura che alcune patologie che rovinano il sonno ai produttori convenzionali, come la peronospora e i tripidi, in certe annate non compaiono affatto.