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Il Governo insiste, contro le decisioni del Parlamento, nel voler mandare mandare in pensione obbligatoriamente al compimento dei 40 anni di contributi versati anche i cinquantenni, mentre vuole prolungare il lavoro per le donne, per trovare i soldi necessari per evitare il crollo dell'INPDAP sommerso dal raddoppio dei pensionamenti 2009.
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Continua la telenovela sulle pensioni “obbligate” e lo “schiaffo” alle decisioni del Parlamento.
Come è noto una prima disposizione di legge aveva previsto che chi avesse versato  40 anni di contributi dovesse andare obbligatoriamente in pensione. Ciò implicava in molti casi il pensionamento alla “tenera” età di meno di 60 anni ed un costo esagerato per il sistema pensionistico, in quanto i pensionati interessati sarebbe stato personale laureato e quindi con un livello retributivo elevato.
La norma gridava poi allo scandalo di fronte alla conclamata volontà, per aderire ad un presunto invito europeo, di portare da 60 a 65 anni l’età per il collocamento a riposo delle donne.
Il Parlamento ci mise subito dopo una pezza, precisando che i contributi dovevano riferirsi a lavoro effettivo.
Ma il Governo, che si era affrettato ad utilizzare la norma per fare uno “spoil system” nascosto e far spazio ai “suoi”, ha fatto fuoco e fiamme per tornare alla formulazione originaria della legge e, nel frattempo ha dato il via ad una campagna di disinformazione per trasformare una sentenza della Corte di Giustizia Europea, favorevole alle donne che volessero continuare a lavorare nella PA anche dopo i 60 anni, in un obbligo per tutte di arrivare ai 65 anni.
Ora, con una norma inserita nel cosiddetto “decreto anticrisi”, il governo ha previsto nuovamente che le amministrazioni possano mandare a casa il personale «a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva, di 40 anni».
Nei 40 anni di contributi “figurativi”, si possono includere nel conto anche gli anni del servizio militare e degli studi universitari (ammesso che sia stato pagato il “riscatto”, come fanno molti lavoratori).
Il pensionamento di un impiegato assicura ovviamente un risparmio per la sua amministrazione, ma allo stesso tempo porta un aggravio di costi all’Inpdap che deve pagargli la pensione, e poi il primo anno si deve sostenere il peso delle buonuscite.
Secondo le stime diffuse dal presidente dell’Inpdap, la norma sui pensionamenti con 40 anni di contributi farà del 2009 un anno record per le uscite dal pubblico impiego: lasceranno il lavoro 134 mila persone, cioè quasi il doppio dei 70 mila che abitualmente vanno in pensione ogni anno.
Fra i dipendenti pubblici i medici, ad eccezione dei primari che si salvano, sono forse i più colpiti dalla modifica, perché hanno tutti alle spalle molti anni di università e di specializzazione.
Ovviamente tacciono tutti quelli che fino a cinque minuti prima piangevano lacrime sulla bassa età in cui gli italiani vanno in pensione.

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