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Prende il via domenica la ventiquattresima edizione, la seconda firmata da Costanzo: tra i primi ospiti il grande Giorgio Albertazzi
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Si apre domenica 6 settembre la ventiquattresima edizione del Todi Arte Festival, la seconda della gestione Costanzo, e il primo nome che viene incontro allo spettatore è quello di Giorgio Albertazzi. “Per uscire dalla trappola scrivo, ma forse non basta”, ha scritto Albertazzi in una sua nota autobiografica. La trappola era quella dell’insoddisfazione e dell’insufficienza: come il poeta Pessoa, l’attore recita perché ha compreso che la vita non basta. E per rimediare a questa insufficienza scrive: l’inchiostro è il suo corpo, il palcoscenico è la pagina. Il teatro sfonda una delle quattro pareti del mondo: dilata lo spazio e manipola il tempo. Come dice la presentazione del festival, “allunga la vita”: la allunga e la allarga, aiuta la vita a diventare più di sé stessa.
Si può intendere così dunque la scelta del direttore Costanzo di dedicare il festival alla resistenza teatrale: il teatro serve a resistere contro le insufficienze della vita. Contro tutte le restrizioni: quelle dello spazio e del tempo, e anche quelle della mente. A voler forzare l’etimologia, il teatro è il luogo della visione. Una visione potenziata che entra in conflitto con la stanca ripetizione delle visioni quotidiane, una visione dentro la quale si parla una lingua altra. La resistenza del teatro dunque passa per la difesa di questa alterità, e per la valorizzazione di ogni alterità.
Recentemente Albertazzi ha portato in scena una delle Lezioni americane di Italo Calvino, quella sulla leggerezza. Poco prima di morire, alla fine degli anni Ottanta, Calvino proponeva la leggerezza come lo strumento che avrebbe vinto il peso, l’inerzia, l’opacità che nel corso del Novecento avevano minacciato di pietrificare il mondo.  Leggerezza, e non superficialità: intesa come sottrazione di peso, come agilità mentale, come capacità di sintesi e rapidità di movimento. Albertazzi, che sul palco è diventato Calvino, accetta la sfida della leggerezza che dovrebbe traghettare l’uomo nel terzo millennio, oltre il Novecento che è stato il secolo del ferro, del piombo, del cemento, dei blocchi di marmo celebrativi di tirannidi e orrori. Un secolo del quale lo stesso Albertazzi ha vissuto sulla propria pelle alcune delle più sofferte contraddizioni.
Nel segno dell’opposizione tra leggerezza e peso si presenta anche Antonio Buonfiglio, pittore e scultore tuderte d’adozione, che è anche l’autore dell’illustrazione che campeggia sul manifesto del festival. Light metal, la mostra di Buonfiglio che verrà inaugurata domenica 6 settembre nella sala affrescata di via Del Monte, pretende la leggerezza dal metallo: un’utopia plastica e visiva che dà voce alla protesta dell’uomo contro l’inerzia della materia. L’uomo vive e lavora per creare leggerezza e luce dove è opacità e peso.

Le arti figurative hanno in comune col teatro proprio la capacità di creare spazi e di inventare tempi: e dialogheranno col teatro durante tutta la settimana del festival anche grazie alla mostra di Roberto Banfi Rossi, Evocazioni, e a quella di Natino Chirico, L’inquieta leggerezza della comicità. I temi principali del festival ritornano: evocazioni di luoghi estranei e inquietudine della leggerezza.
Un festival nel segno del teatro, dunque, e della protesta contro il peso della realtà: Gabriele Linari, nell’ambito della rassegna “Momenti di drammaturgia contemporanea”, metterà in scena la protesta lacerante, eterna, del figlio contro l’oppressione soffocante del padre, attraverso la drammatizzazione di uno dei testi più dolorosi del Novecento, la Lettera al padre di Franz Kafka.
Il Novecento è stato anche il secolo che più spasmodicamente ha pensato al futuro, che più violentemente ha immaginato il futuro: era appena iniziato, nel 1909, quando Marinetti sfidava ogni resistenza del reale lanciando il programma del futurismo. Nell’anno del centenario del movimento futurista, che forse ha rappresentato l’ennesima occasione persa per ridiscutere criticamente il futurismo e liberarlo dai suoi fraintendimenti ideologici, Costanzo e Vaime propongono uno spettacolo incentrato sulla figura del misterioso poeta futurista Ugo Straniero, dall’esistenza incerta ma dall’irresistibile vocazione di gregario, condannato a essere uomo medio e poeta mediocre in epoca di superuomini. Nei panni del poeta Straniero sarà Roberto Herlitzka, maschera sublime del teatro italiano, affiancato da Nancy Brilli.
Quasi una risposta al Kafka di Linari, poi, sarà lo spettacolo interpretato da Franca Valeri e Urbano Barberini, Oddio mamma!, dal testo di Sam Bobrick e Julie Stein: la pièce infatti mette in scena una serie di lettere alla madre, dove il nucleo inquietante di un difficile rapporto tra madre e figlio è indagato con il sostegno dell’ironia.
In un festival dominato dalla visione, sembra avere qualità visive anche la musica proposta dal programma: il pianoforte di Roberto Ciammarughi dialogherà col cinema, quello di Cristiana Pegoraro immaginerà un itinerario odissiaco attraverso il Mediterraneo pensato come luogo di integrazione oltre i conflitti, e oltre l’offesa all’umanità delle tragedie recenti.
E’ stato possibile evocare qui solo alcune delle suggestioni che attraversano il programma del festival, e che lo speciale de iltamtam cercherà di scoprire giorno dopo giorno.
Nei nomi e nei volti di molti dei protagonisti del festival, la resistenza teatrale proposta da Costanzo, che culminerà con la maratona di idee e proposte di sabato 12 a cura di Marco Mattolini, risuona di echi televisivi, in una contaminazione di linguaggi che per essere veramente efficace dovrà nutrirsi di differenze più che di somiglianze. 

 

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