Giorgio Albertazzi inaugurerà il Todi Arte Festival 2009 con uno spettacolo fatto su misura per il tema dell’edizione di quest’anno, dedicata al teatro, alla sua funzione essenziale nella vita della
gente e nello sviluppo della cultura, della sua perpetua attualità, dei rischi a cui va incontro in questo periodo di crisi, non solo economica.
Ci è parso davvero un atto dovuto rendere omaggio a questo grandissimo interprete, alla vivacità del suo pensiero, alla sua capacità di mettersi sempre in gioco, a dimostrazione che davvero il teatro fa bene e ti allunga la vita. Albertazzi sarà sollecitato da alcune domande/memoria che fuori campo gli rivolgerò. Quattro-cinque quesiti in tutto,
non di più. Ciascuno di essi metterà in moto un meccanismo di associazioni, memorie alla rinfusa, citazioni, proposte di rari materiali video, che saranno postillate da Albertazzi, con voluti salti temporali e contenutistici.
Suggestioni evocate da oggetti, costumi, brani musicali, immagini comporranno una visione caleidoscopica del suo mondo, del suo pensiero e della sua arte multiforme. Sintesi provvisoria, parziale e, coerentemente alla sua natura di artista e alla sua vita straordinaria, sicuramente spregiudicata.
Suona la campanella, comincia il viaggio. Quanti 5 minuti nella mia vita? A furia di 5 minuti si sfiora il secolo, un secolo in gran parte trascorso sulle scene del mondo: dalla Russia di Kruschév alla Buenos Aires di Peron, dalla Londra di Laurence Olivier al Théâtre des Nations
di Parigi. Non è un vanto, è la cronaca dei miei 5 minuti fra i geniali insulti di Carmelo (Bene) e le cadenze regali di Vittorio (Gassman).
Vi racconterò – se Costanzo mi da una mano – cosa succede fra la quinte del teatro, cioè là dove sboccia, se sboccia, l’arte dell’attore. Cosa mi è mancato? Cosa ho avuto di troppo?
Chi ha vinto la rivolta degli oggetti?
Cos’è la memoria e cos’è la dimenticanza? Donde esta el Duende? Insomma… insomma, arrivederci a Todi!
NOTA (AUTO)BIOGRAFICA
Mi chiamo Giorgio Albertazzi. Sul mio passaporto c’è scritto: attore.
In realtà faccio anche il regista, lo sceneggiatore, il riduttore di romanzi per la televisione
e ora l’autore teatrale. Alcuni amici sostengono che il mio vero mestiere è l’attore. Altri dicono che dovrei soltanto scrivere. Altri ancora che non dovrei mai più fare una regia teatrale.
Chissà quali sono fra questi gli amici autentici? Sono nato a Fiesole. A dire il vero qualcuno sostiene che sono nato in Borgo San Jacopo, battezzato in Battistero e poi trasportato fugacemente a San Martino (Fiesole). Chissà perché? San Martino a Mensola, era un
luogo arcadico. Da quelle parti ci sono stati Swift, D’Annunzio, Soffici, Swiburne, la Woolf, Berenson, ecc. Io sono nato lì, perché mio nonno ere “maestro muratore” di Berenson e noi abitavamo una dèpandance della villa “I Tatti”. Mio padre faceva il deviatore. Non c’entra niente
col pilotaggio, significa che mio padre “deviava” i treni delle FF.SS. Non proditoriamente, ma
agendo da una cabina piena di leve posta lungo la ferrovia. Mio padre era di origine emiliana. Mia madre è casentinese. Ho vissuto in campagna fino a diciott’anni. L’ultimo anno di guerra sono stato chiamato alle armi, nella R.S.I. Poco tempo dopo si sfasciava tutto.
Nell’inverno del ’45 ad Ancona, ho fondato con Titta Foti il “primo” teatro anarchico italiano. Abbiamo rappresentato Pietro Gori, Andrejeff e roba scritta da noi. Dopo un anno mi hanno arrestato per collaborazionismo militare. Ho fatto quasi due anni di carcere, prima di essere assolto. Ne ho approfittato per leggere Marx e Engels. Quando uscii dal carcere avevo un libro
pronto (Io, criminale!) che non ho mai pubblicato. Ritornai a Firenze. Ripresi a frequentare
Architettura e ricominciai a recitare. Che si può dire ancora, in una nota autobiografica? Che ho un passato, come si può intuire. Pieno di contraddizioni. Sono la persona più disponibile che io conosca. Chiunque può occupare il mio tempo o il mio sonno, i ritagli del mio lavoro e anche il mio lavoro stesso. Io ci sono sempre e così mi alimento, finché improvvisamente crollo. Poi mi riprendo e tutto ricomincia come prima. Ma la contraddizione di fondo è che io sono un attore con la coscienza infelice. Già, e perciò mi agito e cerco di uscire dalla trappola. Per uscire dalla trappola scrivo, ma forse non basta.
Giorgio Albertazzi (1973)