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Il rischio è che un forte terremoto nel mare Egeo, che si aspetta da troppo tempo, sia così potente da riflettersi lungo la penisola, come è accaduto nei secoli passati
sismografo

Interessanti analisi sulla sismicità dell’Appennino sono state recentemente espresse dal mondo scientifico. Tra l’altro è stata ampiamente smentita in via preventiva la “bufala” sul forte terremoto che avrebbe dovuto colpire, ma non è accaduto, il mare Adriatico poco al largo di Porto San Giorgio nelle Marche.
La faglia nel mar Adriatico sarebbe, invece, debolmente attiva. “con un livello di pericolosità molto più basso del resto d’Italia, e anche la magnitudo massima è minore (non si supera il 6.0°, di norma). 
Quelle più pericolose sono le faglie quasi ortogonali alla dorsale appenninica, strutture  orientate Est-Ovest
E’ ormai universalmente accettato che l’attività sismica è causata dalle tensioni generate dal movimento relativo delle placche euro-asiatica ed africana.
Un movimento in alcune zone contrastato dalla presenza di piccoli blocchi continentali più resistenti.
 I terremoti, piccoli e grandi, sono causati, quindi, da eventi sulla crosta terrestre  e solo presso le massime catene montuose possono raggiungere i 40 chilometri.
I terremoti forti si influenzano tra di loro; notevoli eventi sismici (superiori a 6.5° Richter) possono innescare movimenti di blocchi  che producono instabilità in altre zone più o meno vicine. In Italia la placca adriatica sta in mezzo ed è compressa tra il blocco africano ed europeo. Sotto la spinta del primo sta compiendo una rotazione antioraria facendo perno nelle Alpi centrali.
Il movimento complessivo della penisola è quindi verso una linea che, partendo dalle alpi, scende fino alla Grecia ed in questa ultima area il contatto è più intenso. Specialmente interessata è quell’area costituita in superficie dall’arco calabro.
 La placca adriatica, sotto la spinta dell’Africa, quindi, cerca di spostarsi verso i Balcani, ma con delle differenze fondamentali. La parte meridionale del fronte (Grecia, Albania, Montenegro) è quella che più resiste alla spinta, abbarbicata com’è ad una escrescenza del blocco euroasiatico”.
Si sviluppano quindi in quest’area le forze e le deformazioni, che sono la causa dei terremoti più forti e frequenti di tutto il Mediterraneo.
Invece, la resistenza alla rotazione adriatica è minore nella parte più settentrionale (Croazia, Bosnia, Serbia), in quanto dietro ci sono solo pianure. 
Tra il sud dei balcani che resiste ed il nord che cede è inevitabile che la placca adriatica meridionale si muove più lentamente di quella settentrionale.
Il punto di differenziazione corrisponde con l’Albania settentrionale.
Nel Nord della penisola la cedevolezza dell’area balcanica crea una situazione distensiva che tende ad allargare gli spazi, che però prima o poi vengono riempiti da compressioni rovinose che possono essere messe in movimento da sommovimenti più a sud, lungo la catena appennica.
E  le rotture derivanti dal contrasto con il fronte greco-albanese-montenegrino, avverrebbero ogni circa 20-30 anni,
alternando fasi silenti a periodi di intensa attività sismica, lungo la fascia di collisione, che quasi inevitabilmente si ripercuotono sul versane italiano.
Gli scienziati avrebbero, infatti, individuato una corrispondenza storica tra le principali fasi di attività sismogenetica nei Balcani, in Grecia e in Italia dove la maggior parte dei terremoti negli ultimi 400 anni, si è verificata durante o subito dopo l’attività parossistica nel fronte greco-albanese.
Ma da un po’ di tempo la sismicità profonda più intesa (magnitudo superiore a 7,5° Richter) sembrerebbe
essere in forte ritardo sotto l’Egeo e questo non lascia tranquilli gli scienziati né sul fronte dell’arco calabro né lungo la dorsale appenninica.

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