Lo andavamo scrivendo da tempo che la frutta che ci viene venduta non è più buona come una volta. Con noi 3 italiani su 4 ed adesso anche la Coldiretti deve ammetterlo, ma cerca scuse.
La frutta non è buona come una volta perchè i prodotti sono raccolti acerbi per durare di più sugli scaffali dei supermercati (65%), vengono da troppo lontano (20%), sono scomparse le antiche varietà (10%) o non sono genuini (5%).
Lo dicono i consumatori e l’organizzazione agricola cerca di spostare il tiro sui prodotti di importazione, con un progetto per una «filiera agricola tutta italiana che taglia le intermediazioni, favorisce la diversificazione produttiva e porta in tavola i prodotti degli agricoltori al giusto grado di maturazione, attraverso la rete dei mercati di campagna amica, i consorzi agrari e le cooperative».
Un progetto che tuttavia non sembra considerare che tutta la frutta, anche quella nazionale, non è più buona come una volta e quindi per renderla gradevole occorre che l’escamotage di cogliere frutta acerba venga abbandonato anche in casa nostra.
Di questa tecnica, visto che i prodotti non devono percorrere lunghe distanze, non ce ne sarebbe bisogno, ma anche i contadini nostrani la praticano per regolare l’afflusso dei quantitativi sui mercati, non essendo stata ancora scoperta o forse dimenticata una tecnica per graduare le maturazioni ed essendo stata invece attuata una standardizzazione eccessiva del tipo di piante, abbandonando le varietà precoci o tardive, a favore di quelle che assicurano una maggiore produzione.
Per effetto della globalizzazione si è verificata inoltre, denuncia la Coldiretti, scomparsa dal mercato dei frutti cosiddetti minori. Le poche specie commercializzate sono disponibili durante tutto l’anno sugli scaffali dei supermercati, per effetto dell’arrivo di prodotti da paesi lontani dove valgono diverse regole di coltivazione e conservazione degli alimenti.
Si dovrebbe tornare a consumare solo frutta “ dei paesi nostri” riscoprendo, per tappare i buchi stagionali, i frutti dimenticati: l’azzeruolo, conosciuto appena dal 15% del campione, seguito dalla sorba (17%), il corbezzolo (27%), il corniolo (32%), la pera volpina (38%), la giuggiola (40%), la mora di gelso (72%), la carruba (75%), la nespola (82%) e il melograno (89%)
Ma non è solo il grado di maturazione della frutta la causa del cattivo sapore, C’è un grave problema, che poi diventa anche ambientale, legato all’utilizzo dei prodotti fitosanitari in agricoltura
In un convegno organizzato da Arpa Umbria e facoltà di agraria. il preside della facoltà, professor Francesco Pennacchi, ha evidenziato la necessità di trovare un equilibrio tra l’esigenza di disporre di sempre maggiori quantità di cibo e la tutela del territorio che subisce gli effetti di una irrorazione eccessiva di fitosanitari che, tuttavia, per primi hanno colpito la frutta.
Quindi la verifica a scala regionale della presenza di aree vulnerate, attuata partendo dai dati disponibili e dalle conoscenze finora ottenute, consente anche di individuare da dove proviene la frutta che sa “di medicina”
«I risultati dell’indagine – come ha evidenziato Angiolo Martinelli, di Arpa Umbria – hanno fornito importanti indicazioni confermando, ad esempio, la vulnerabilità del bacino del lago Trasimeno, in particolare ai principi Terbutilazina e Metolachlor, ritrovati in modo persistente nelle acque degli alvei minori, in modo occasionale nelle acque del lago.
Inoltre, sono stati ritrovati prodotti fitosanitari su 7 dei 13 corpi idrici alluvionali monitorati, per un totale di 38 positività a 6 principi attivi. Anche quando si resta nei limiti di concentrazione previsti per le acque destinate a uso potabile è pur sempre vero che di quel prodotto se ne è fatto prima un uso eccessivo sulla frutta..
- Redazione
- 6 Novembre 2009
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