Le statistiche, diceva Trilussa, sono quelle per le quali tu stai a digiuno, ma risulta che hai mangiato mezzo pollo di quello che ha cucinato il tuo vicino.
In altri termini delle statistiche ci si può fidare a patto di saperle leggere bene.
Ed è necessario essere chiari e non abusare della credulità altrui.
Un caso di uso strumentale delle statistiche è stato recentemente quello ad opera degli interpreti della CGA di Mestre.
Si è scritto, infatti, collegando due cose che "“Ma la cosa più preoccupante e fortemente sentita dai cittadini del Nord è l’aumento del residuo fiscale registrato tra il 2002 e il 2007. Ebbene, in Lombardia è aumentato del +47%, in Piemonte del +33% e in Veneto del +32%. Incrementi che con un serio federalismo fiscale in grado di coniugare solidarietà, responsabilità ed efficienza della spesa pubblica, dovrebbero diminuire.”
In base ad una stima elaborata dall’Ufficio studi della associazione, relativa all’anno 2007, si è scritto “In Italia, solo 5 Regioni presentano il residuo fiscale attivo, ovvero danno molto di più alle Amministrazioni pubbliche (in termini di imposte, tasse e contributi) di quanto ricevono (sotto forma di trasferimenti e di servizi pubblici): sono il Piemonte (+ 1,219 mld di €); la Lombardia (+42,574 mld di €); il Veneto (+6,882 mld di €); l’Emilia Romagna (+ 5,587 mld di €); e il Lazio (+8,720 mld di €). Il residuo di quest’ultima Regione, a differenza delle altre, risente della presenza della capitale”.
Tutto ciò è vero, ma il voler dire o lasciar intendere che le altre regioni sono “parassiti” delle prime è quanto meno esagerato.
In quello che le 5 regioni danno allo stato c’è quanto le imprese di queste incassano per IVA vendendo i loro prodotti e servizi ai cittadini, enti ed imprese della restante parte d’Italia. Soldi che risultano versati da Piemonte ecc ma che in effetti sono uscite dalle tasche dell’Umbria ecc.
Ed i flussi non sono equilibrati, perché le “cinque sorelle” non solo possono vantare un “export” interregionale a loro favore, ma sono sedi di grandi società nazionali che concentrano i loro versamenti nella regione di residenza.
I grandi gestori dei sevizi pubblici versano nei grandi centri ( Roma, Milano, Torino ecc) dove hanno la loro sede e non già nei luoghi dove hanno presi i soldi dai consumatori.
Dunque, per le regioni in questione in questo caso non è “tutto oro ciò che luce” ed è certo che beneficiano della possibilità di avere un “mercato” non ristretto ai loro confini