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La legge che consente alle donne di rimanere in servizio anche dopo i 60 anni, come vuole la Corte di Giustizia europea, c'è già: è del 1977, ma il Governo lo tiene nascosto per penalizzare chi invece vuole andare in pensione a quell'età
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La vicenda dell’innalzamento dell’età delle pensione delle donne che lavorano nel pubblico impiego si rivela per quello che è: una “bufala”, un grande inganno per prolungare obbligatoriamente l’età della cessazione del lavoro, fuori casa.
Non solo nella sentenza  13-11-2008, con la quale la Corte di Giustizia europea ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 141 CE in materia di non discriminazione dei trattamenti retributivi basata sul sesso dei lavoratori non si fa, in nessun punto, esplicitamente menzione dell’obbligo per l’Italia di elevare a 65 anni l’età pensionabile delle donne.
Quello che vorrebbe fare il governo Berlusconi è solo un’operazione con altri fini portata avanti con un cinismo grandissimo e con una mistificazione della realtà.
L’Uil PA scrive che “ Con semplificazione inaccettabile, si tende a ridurre tutto a un mero
problema di innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni
, con il presunto intento di eliminare una non meglio chiarita “discriminazione” a danno delle donne stesse.”
Questo si era capito da un pezzo, ma non molti sanno che il diritto delle donne, se vogliono cioè, di rimanere al lavoro anche oltre i 60 anni è già sancito da una legge dello Stato italiano del 1977.
E’ da quella data quindi che la mistificazione della realtà giuridica è stata posta in atto scientemente.
Già in sede di difesa di fronte alla Corte di Giustizia il Governo Italiano ha nascosto che la dipendente a cui si era negato di rimanere in servizio oltre i 60 anni aveva perfettamente ragione, perchè quel diritto era previsto nel nostro ordinamento e non c’era alcun bisogno di ricorrere alla Corte di Giustizia Europea.
Poi, seguitando a muoversi su quella linea, cercando di far vedere “lucciole per lanterne”, ma in realtà coprendo quello che vuole realmente con la scusa di una sentenza che ha “pilotato” a suo uso e consumo e che, comunque non dice neppure una parola di quello che si vorrebbe far credere.
La legge  n.903-77 del 9 dicembre di quell’anno, infatti, testualmente dispone
, nell’ambito del provvedimento intitolato: "Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro", all’art 4 che “ Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.”
Al successivo art 19 si dispone che “Sono abrogate tutte le disposizioni legislative in contrasto con le norme della presente legge. In  conseguenza, cessano di avere efficacia le norme interne e gli atti di carattere amministrativo dello Stato e degli altri enti pubblici in contrasto con le disposizioni della presente legge.”
In altre democrazie dire le bugie che ha detto il Governo varrebbe  l’impeachment del Ministro che si è dimostrato o bugiardo o ignorante. Da noi no!

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