Nel parlare della vicenda che coinvolge il card. Sepe avevamo espresso l’auspicio che al di là del Tevere ci fosse la consapevolezza che Chiesa e Vaticano non avevano bisogno di stimolare altre polemiche in questo momento.
La decisione di Sepe, che sembrava incondizionata, di collaborare con la Giustizia italiana si è però col passare dei giorni offuscata, ammantandosi di riserve e condizioni e soprattutto di dichiarazione che sembrano aver gettato benzina sul fuoco.
Ed infatti l’ADUC, Associazione degli Utenti e Consumatori ha preso la palla al balzo e scrive “Crescenzio Sepe, cardinale di Napoli e indagato che ha ricevuto un avviso di garanzia per corruzione dalla Procura della Repubblica di Perugia per il malaffare del G8, ha fatto sapere che tutto il suo operato era autorizzato dal Vaticano e tutto quello che ha fatto era per il bene sempre del Vaticano.”
L’Associazione fa un parallelo tra “le ruberie di tangentopoli a favore dei partiti” e la vicenda in corso
Poi tocca e non poteva non farlo la questione “Concordato significa che le ragioni di un accordo con uno Stato estero hanno piu’ valore dei nostri codici e se, come nel caso Sepe, il nostro cardinale sara’ riconosciuto come il faccendiere immobiliare della cricca che faceva strazio dei pubblici appalti e del denaro pubblico, per lui scattera’ l’immunita’
””E il cittadino utente e consumatore, cosi’ come ha pagato per Tangentopoli e continua a pagare per l’attuale corruzione, cosi’ fara’ per quel che combina il Vaticano sul nostro territorio coi nostri soldi.
Siamo proprio sicuri che il Concordato e’ quello che ancora ci serve nel rapporto con una confessione religiosa, pur se la medesima, per ora, ce la tiriamo dietro grazie all’art.7 della Costituzione. Vale la pena continuare a pagare questo prezzo?”.
In definitiva torna a galla la questione, mai risolta, del potere temporale unito e confuso con quello spirituale: se nessuno può impedire al prete o cardinale che sia di parlare di tutto come un libero cittadino italiano, la cosa cambia quando ci si vuole ammantare della carica di Ministro o Ambasciatore di uno Stato Estero ( il Vaticano).
Nei rapporti diplomatici il bon ton è forma e sostanza; un qualsiasi ambasciatore di uno Stato estero o un esponente di un Governo straniero mai si sognerebbe di mettere pubblicamente il naso su questioni italiane e se lo facesse l’espulsione sarebbe quasi automatica.
Ed allora un Arcivescovo deve scegliere: se vuole essere un rappresentante della Chiesa o se vuole essere un rappresentante di uno stato estero, non può comportarsi come se fosse contemporaneamente uno e l’altro.
E tutto ciò nell’interesse della Chiesa, perchè dalla confusione delle posizioni, comportamenti e parole di personaggi in vicende come quella del Card Sepe rischia di passare il concetto che i guasti della gestione temporale vengano attribuiti alla gestione religiosa, mentre la Costituzione italiana attribuisce in prima battuta alla Chiesa indipendenza e sovranità ed i concordati sono, come dice la Costituzione, accordi tra Stato e Chiesa.
- Redazione
- 24 Giugno 2010
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