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Sottovalutazione di un fenomeno che ormai investe il 27% dei lavoratori italiani e le loro famiglie, più elevato che nella media europea e che costa direttamente 20 miliardi l'anno
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Per molte aziende private ( quelle pubbliche hanno ottenuto la proroga) la valutazione del livello di stress dei propri dipendenti, richiesta dal legislatore a partire dal prossimo primo agosto, è considerata  considerata l’ennesimo appesantimento burocratico a cui aderire solo in maniera formale per evitare sanzioni.
Sarebbe invece un’opportunità concreta per i datori di lavoro per riflettere sulla realtà aziendale, per trarre miglioramenti organizzativi e vantaggi economici.
In Italia, infatti, il fenomeno è rilevante e solo per perdita di giorni di lavoro e costi sanitari ha un costo economico di circa 20 miliardi di euro all’anno
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Ci sarebbe poi da considerare quanto costi lo stress di un dipendente in termini di relazioni interpersonali con i suoi familiari, a cui lo stato d’animo poi si trasmette e che comunque soffrono le conseguenze dei comportamenti attivi e passivi del “portatore”, innescando un circolo vizioso che si autoalimenta 
In Italia il 27% dei lavoratori, più di uno su quattro, soffre di stress legato alla propria attività lavorativa, causa di oltre la metà delle giornate di lavoro perse in un anno.
Si tratta di un valore superiore alla media registrata in Europa, dove la condizione di stress interessa circa il 22% dei lavoratori
E, purtroppo, è altamente probabile che il fenomeno sia destinato ad aumentare a causa del progressivo accentuarsi di alcuni fenomeni come l’insicurezza dei contratti, l’età sempre più avanzata dei dipendenti e gli alti carichi di lavoro, fattori che portano i lavoratori a percepire uno squilibrio tra l’impegno richiesto e la propria capacità di affrontarlo e/o la gratificazione che se ne riceve.

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