Con il monologo di Roberto Saviano al teatro Pavone è ufficialmente partito il festival del giornalismo di Perugia. Tantissime le persone che, sin dalle 17 di ieri, hanno cominciato a fare la fila fuori dal teatro per cercare di accaparrarsi un posto per ascoltare lo scrittore napoletano, caso mediatico dell’anno con la trasmissione Vieni via con me.
A presentare Saviano sul palco è stata Arianna Ciccone, organizzatrice del festival, che ha voluto leggere, riprendendo proprio il format della fortunata trasmissione sopra citata, una lista di motivi per cui «…è cosa buona e giusta avere qui Roberto Saviano».
Al suo arrivo sul palco, l’autore di Gomorra ha ricevuto dal pubblico di Perugia, fatto soprattutto di giovani, un caldo e commosso benvenuto. A dimostrazione, ancora una volta, della grande capacità di questo giornalista di toccare gli animi e le coscienze delle giovani generazioni.
Il suo intervento è stato volto a raccontare cosa significhi macchina del fango, un meccanismo per cui chi è scomodo viene isolato, denigrato, annullato, annichilito dal potere. Ha voluto aprire ricordando un incontro con Enzo Biagi, in cui il grande giornalista ormai scomparso lo avvertì, gli disse di fare attenzione a parlare di certe cose, perché sarebbe stato odiato da molti. E’ così, dice Saviano, chi vuole tirare fuori la verità, chi vuole agire bene, prima o poi verrà infangato da chi sta sopra di lui. E’ successo a don Giuseppe Diana, assassinato dalla camorra per il suo impegno contro la criminalità organizzata, il cui nome è stato diffamato dopo la morte cercando di denigrare quello che era stato il suo lavoro, facendo passare il messaggio per cui non era stato ammazzato dalla camorra, ma per motivi futili, banali. Facendo credere che, in fondo, lui era come tutti gli altri. La macchina del fango, continua lo scrittore campano, agisce proprio così: il potere non si difende discolpandosi, dicendo di non aver fatto quella determinata cosa, ma mettendo tutto sullo stesso piano, perché, in fondo, lo fanno tutti. «Tutti sporchi, nessuno sporco».
Il monologo è proseguito con tanti esempi, italiani ed internazionali, recenti o più indietro nel tempo. Giovanni Falcone, infangato dai suoi stessi colleghi, accusato di cercare popolarità attraverso le televisioni, arrivando addirittura ad architettare un finto attentato all’Addaura pur di guadagnare consensi. Dino Boffo, direttore di Famiglia Cristiana, costretto alle dimissioni perché accusato di omosessualità, come se questo costituisse reato. Stefano Caldoro, vero capolavoro di demistificazione, con delle accuse che le successive intercettazioni telefoniche hanno dimostrato essere montate ad arte. Herta Muller, resa impotente dal regime di Ceausescu facendola passare per spia. Anabel Hernandez, giornalista messicana che ha denunciato un piano del ministro dell’interno del suo paese per eliminarla.
Per conservare la memoria di chi si batte per la verità, di chi combatte per la giustizia, occorre, dice Saviano, una coscienza critica da parte di tutti, bisogna avere il coraggio di dire di no, di guardare alla realtà che molte volte si cela sotto quella coltre di fango che ricopre queste persone.
Per concludere l’autore di Gomorra ha ricordato come agì Giacomo Matteotti, che ebbe il coraggio di denunciare i brogli elettorali concludendo il suo intervento con un amaro «Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». Allo stesso modo, tra gli applausi del pubblico, Saviano ha affermato: «Ed ora infangateci tutti».
- Lorenzo Maria Grighi
- 13 Aprile 2011
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