La Giunta regionale dell’Umbria, su proposta dell’assessore alla Salute Franco Tomassoni, ha recepito l’accordo Stato-Regioni sulle linee guida per la gestione clinica dei casi di persone portatrici di protesi mammarie prodotte dalla “Pip” e ha dato mandato alle Aziende Sanitarie della regione di definire e attivare un programma per la presa in carico di tutte le donne interessate.
Le donne alle quali siano state impiantate protesi mammarie al silicone della ditta Poly Implant Prothèse (“Pip”), realizzate con materiali non conformi e potenzialmente pericolosi, seguiranno uno specifico programma di assistenza sanitaria che prevede visite specialistiche ed esami diagnostici e l’eventuale rimozione.
“Dal censimento degli uffici regionali – ha detto Tomassoni – è emerso un numero molto esiguo di donne cui è stato impiantato questo tipo di protesi, che complessivamente in Italia sono circa quattromila.
A ognuna di loro, applicando un protocollo valido a livello nazionale, vogliamo garantire la necessaria assistenza, invitandole innanzitutto a una visita di controllo”.
“Verrà effettuata una valutazione clinica specialistica e diagnostica, caso per caso – ha spiegato l’assessore – sulla cui base decidere se procedere all’espianto della protesi e alla sostituzione con una più sicura.
Il Consiglio superiore di Sanità ha evidenziato, infatti, che sulle protesi della ditta francese ‘non esistono prove di maggior rischio di cancerogenicità, ma sono state evidenziate maggiori probabilità di rottura e di reazioni infiammatorie’”.
Le Aziende sanitarie locali umbre indicheranno i centri di riferimento dove le donne che hanno una protesi “Pip” potranno recarsi per le visite di controllo e le strutture alle quali rivolgersi per l’eventuale rimozione, quando la protesi non sia integra, provochi infiammazioni o negli altri casi in cui si rendesse opportuna.
Le prestazioni erogate nell’ambito delle indicazioni cliniche specialistiche saranno a carico del sistema sanitario pubblico, in quanto ricomprese nei “Lea”, i livelli essenziali di assistenza.
Le donne dovranno comunque pagare gli eventuali ticket previsti a livello nazionale e regionale.
La questione del ticket non mancherà di suscitare polemiche; le prestazioni necessarie infatti dipendono sì da una truffa di un privato, ma l’attività ed i prodotti difettosi di quest’ultimo non sono stati messi in commercio senza che il sistema pubblico nazionale o internazionale non ne sapesse niente.
Se il sistema regolatore ha sbagliato per colpa od omissione non sembra sia giusto che le conseguenze le debbano, in alcuna misura, subire persone del tutto incolpevoli; c’è una responsabilità oggettiva di chi doveva controllare e non lo ha fatto o fatto male.
E’ un po’ la stessa situazione che si è verificata con la disseminazione dell’Eternit, dove privati cittadini – anche chi il prodotto all’amianto non l’ha acquistato e utilizzato – subiscono le conseguenze dell’autorizzazione data alla produzione e messa in commercio di Eternit, senza quelle cautele che poi si sono dimostrate più che necessarie.
Conseguenze pesanti sul piano della salute e pure economiche ove si volesse procedere alla rimozione dei prodotti.