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Le associazioni ambientaliste dell'orvietano temono che l'ipotizzato sfruttamento delle risorse geotermiche possa causare danni alle falde e soprattutto compromettere la stabilità della zona, con terremoti fino al 3 grado di magnitudine
geotermia
C’è una cosa che le associazioni che si oppongono alle energie “non di origine fossile” non dicono e che dovrebbe essere detta anche se non è vera in assoluto.
I soldi che si pagano in bolletta per sostenere i contributi alle energie non inquinanti hanno come contropartita la non importazione di petrolio e gas. Poiché quello che si importa si deve pagare è evidente anche al più ingenuo che il corrispettivo sono soldi che escono dall’Italia e la impoveriscono.
Peraltro i venditori sono paesi che già in passato hanno giocato coi prezzi e con i quantitativi, mettendo in grandi ambasce gli italiani.

Ora è chiaro che non tutti i contributi che si pagano restano in Italia, perché molti produttori e gestori di impianti green vengono dall’estero e lì riportano i loro incassi, ma è chiaro che, stando gli impianti in Italia, fermarli o portarseli via a proprio comodo non è una cosa agevole.
In conclusione quando le associazioni ambientaliste e comitati di cittadini dell’Orvietano guardano “con sospetto alla nuova proposta di intervento geotermico che ci giunge da parte di una società italiana che utilizza capitali stranieri” evidenziando che il nostro amato Paese paga ogni anno come “conto energia” ben 12 miliardi di euro (avete capito bene dodici miliardi !) a chi ha installato fotovoltaico e pale eoliche.” sembra proprio di sentire “gli sceicchi del petrolio e gli zar del gas” che temono per i loro affari.

Ma,  maggiore attenzione si può prestare ad osservazioni tecniche che dovrebbero essere considerate in base al principio di precauzione, ovviamente non esagerando alla maniera talebana, perché un rischio c’è in tutte le cose e spesso lo si dimentica (ad esempio, quanti spengono il telefonino quando si fa rifornimento all’auto?) anche se la conseguenza potrebbe essere disastrosa.
Comunque e bene parlarne visto che la Regione Umbria sta studiando le risorse geotermiche per un loro utilizzo e ha già preso in considerazione le zone a sinistra del Tevere fino a Todi

In merito allo sfruttamento geotermico nella zona di Castel Giorgio nell’orvietano le associazioni ambientaliste scrivono: “ In questo caso infatti non sono a rischio solo il Paesaggio e le attività produttive ad esso collegate (turismo, case di riposo, tempo libero, ecc), ma addirittura la vita stessa e le strutture, come case ed immobili di vario genere, della comunità che ha la sventura di risiedere nel comprensorio in cui opera tale intervento.
Stiamo parlando in buona sostanza di terremoti e danni ambientali che può generare la geotermia profonda.

Questa nuova “idea” nasce infatti dalla constatazione che a grandi profondità nel sottosuolo, oltre cioè i mille metri di profondità, in alcune zone particolarmente “vocate” come Latera e Castel Giorgio, è possibile ritrovare temperature piuttosto elevate (intorno ai 150°C)e “fluidi” che, se portati in superficie, possono essere profittevolmente impiegati, con gli opportuni scambiatori, per far girare una turbina, produrre energia elettrica e guadagnare tanti soldi.
Dopo aver raffreddato il refluo in un opportuno capannone iperventilato il medesimo viene reimmesso a circa duemila ed oltre metri di profondità.

In un recente articolo questo sistema “binario”, perché si estrae e si re – immette il fluido in profondità,  è stato definito dal professor  Franco Barberi, responsabile del progetto, come “pulito”, e sono state fatte altre affermazioni troppo tranquillizzanti che forse è il caso di valutare.
Entrando infatti sugli aspetti tecnici dell’intervento veniamo a scoprire, da tecnici geologi indipendenti, che già a partire dalle perforazioni si corre il grave rischio di inquinare drammaticamente le falde “sospese” e profonde dell’Altopiano dell’Alfina.
Le trivelle infatti per procedere negli strati geologici e raggiungere le giuste temperature ed i relativi reflui a pressione, devono utilizzare complesse “paste” di fluidificazione che si compongono di composti del bario e di altre sostanze chimiche altamente inquinanti e persistenti nell’ambiente di falda.

Insomma già solo a fare il “buco” si corre il rischio compromettere le nostre abbondanti quanto indispensabili falde acquifere, senza contare poi che l’opera di perforazione può frammentare e fessurare gli strati geologici rischiando di mettere in comunicazione i pessimi e pressurizzati fluidi profondi con le pulite e (ancora) indisturbate falde idropotabili superiori.

Ma ci sono altri aspetti ancora più inquietanti oltre il rischio di avere l’acqua irrimediabilmente inquinata, infatti prendendo il refluo gassoso da una parte per re- immetterlo, dopo l’uso in superficie per generare vapore e far  girare le turbine e produrre energia, da un’altra si alterano gli strati pressurizzati  delle grandi profondità.
Gli squilibri che determina possono generare, così come sostenuto da molti geologi ricercatori, ma anche da un importante documento di una grande società italiana del settore, dei sismi fino al 3° grado della scala Richter, a condizione però che la quantità di refluo utilizzato sia entro limiti prestabiliti.
Eccedendo tali limiti gli squilibri nelle pressioni possono generare fenomeni sismici  imprevedibili. "

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