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Costituisce appena il 3,8 per cento del totale degli ingressi nel mondo del lavoro, toccando i minimi storici (era al 10,4 per cento nel 2000);
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In Umbria, nel 2012, le pratiche di assunzione effettuate in apprendistato sono state 5491; costituiscono appena il 3,8 per cento del totale degli ingressi nel mondo del lavoro, toccando i minimi storici (erano il 10,4 per cento nel 2000); il canale contrattuale maggiormente utilizzato è il tempo determinato che raccoglie il 53 per cento delle assunzioni, mentre i nuovi contratti a tempo indeterminato rappresentano il 9,6 per cento.

E’una delle impietose fotografie risultanti dal rapporto realizzato, per conto della Regione Umbria, dall’Agenzia Umbria Ricerche.
Una crisi “serissima – si rileva nel rapporto – in cui la reazione delle imprese, specialmente delle più piccole, è stata nei primi mesi del 2013 prevalentemente quella di non procedere a nuove assunzioni”.
In più risultano in calo le conversioni dal contratto di apprendistato a quello a tempo indeterminato, che nel 2012 sono state circa duemila.  

Eppure un corretto apprendistato, composto di pratica e teoria, consentirebbe alle imprese, ben più degli stage e del contratto a tempo determinato, di arricchirsi di quelle energie ed idee nuove spesso nascoste nell’apprendista e il ridotto ricorso all’apprendistato è forse all’origine della scarsa propensione all’innovazione delle imprese umbre.
Ma l’apprendistato ora non è più un contratto a causa mista per quanto riguarda il professionalizzante che, dopo la riforma del 2011, vede ridursi a un terzo l’impegno formativo; non è ancora un contratto di inserimento per i giovani perché non adeguatamente flessibile; non è ancora un contratto per i più giovani, a partire dal quindicesimo anno di età, perché rimesso tutto all’iniziativa delle Regioni che incontrano numerose difficoltà a realizzarlo
In definitiva il contratto di apprendistato è “non competitivo, difficile da gestire, soggetto a continui adattamenti normativi che non riescono a definirne una natura specifica”

La nuova ricerca si apre delineando un quadro d’insieme, a partire dalla debolezza competitiva dell’apprendistato rispetto alle altre varianti contrattuali, le difficoltà applicative del nuovo regime che ha condotto a un’articolazione in tre tipologie (per la qualifica e per il diploma professionale; professionalizzante o contratto di mestiere; di alta formazione e ricerca), in un contesto generale di crisi economica accompagnata da un calo occupazionale.

Tra le criticità, “il blocco del meccanismo della fluidità nel passaggio dalla scuola al lavoro – ha rilevato Mauro Casavecchia, responsabile dell’Area Innovazione e sviluppo locale di Aur” – Lo snodo tra istruzione e occupazione rappresenta uno dei punti deboli del modello di sviluppo italiano. Quanto all’Umbria, un giovane su tre ha un contratto non stabile e solo uno su cinque ha un lavoro ad alta qualificazione, cui si collega un sottoutilizzo delle competenze nel sistema produttivo regionale”.
   
 L’apprendistato risulta un canale rivolto sia ai mestieri sia alle attività professionalizzanti. Dalla distribuzione delle qualifiche di assunzione, sempre nel 2012, emerge una concentrazione di apprendisti tra le professioni qualificate relative alle attività commerciali e dei servizi (44 per cento). Seguono artigiani, operai e agricoltori, che riguardano quasi un quarto degli ingressi, e gli impiegati con una percentuale del 14 per cento. Residuali sono le professioni non qualificate o, all’opposto, le professioni intellettuali o scientifiche, in coerenza con la distribuzione dei livelli di istruzione.

Quanto ai settori di appartenenza, al 2012 quasi la metà dei nuovi ingressi è concentrata nel trasporto e magazzinaggio (24,3 per cento) e nelle costruzioni (20,4 per cento); seguono le forniture di acque, reti fognarie e attività di gestione rifiuti e risanamento (12,5 per cento). Una certa concentrazione si ha anche nelle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (5,5 per cento), nella metallurgia (5,8%) e nelle industrie alimentari (4,1 per cento).
 I contratti attivati nel 2012 hanno previsto all’atto dell’assunzione una durata sostanzialmente o inferiore all’anno (quasi un quarto) o superiore ai due anni

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