La pubblicazione dei risultati dello studio SHARP ha contribuito a chiarire come la riduzione sistematica del colesterolo LDL con la terapia di associazione ezetimibe – simvastatina comporti un beneficio sulla morbilità cardiovascolare.
Il Colesterolo è, notoriamente, un killer spietato per il cuore. Soprattutto per coloro nei quali il rischio cuore è fortemente amplificato da altre patologie: in prima fila i nefropatici, e poi i diabetici, le persone con ipercolesterolemia familiare o chi ha già subito un evento cardiovascolare.
Per tutti l’imperativo è d’obbligo: abbassare il colesterolo!
Eppure il trattamento ipolipemizzante, in particolare la riduzione della frazione LDL del colesterolo, è ancora oggi troppo spesso trascurato nella pratica clinica o mal gestito: così se da una parte ci sono pazienti a basso rischio sovratrattati, dall’altra ce ne sono molti, ad alto e altissimo rischio, sottotrattati. In particolare i pazienti con malattia renale cronica, una patologia in costante aumento nei Paesi occidentali che comporta un significativo incremento di complicanze di tipo cardiovascolare.
Ma ormai non si può più ignorare il problema. Il paziente nefropatico, dunque, necessita di una gestione integrata, di competenze diversificate. Medici di Medicina Generale, Cardiologi e Nefrologi sono chiamati, dunque, ad un approccio a 360° del paziente, una sfida ambiziosa che oggi può contare su un nuovo strumento: grazie al contributo educazionale di MSD Primary Care, è stato messo a punto un opuscolo dal titolo “Gestione del paziente con malattia renale” presentato ai Media a margine del 74° Congresso della Società Italiana di Cardiologia. Destinato ai clinici, la pubblicazione nasce dalla collaborazione di un gruppo di Clinici, Cardiologi e Nefrologi con competenze diverse ma complementari, e si propone di fornire al lettore un inquadramento diagnostico-terapeutico pratico che partendo da una solida analisi fisiologica, non trascuri di segnalare le aree di incertezza ad oggi presenti e gli argomenti che richiedono ulteriori acquisizioni della ricerca clinica.
Alberico L. Catapano, Ordinario di Farmacologia Università degli Studi di Milano e Presidente EAS – ha sottolineano che la valutazione del rischio cardiovascolare non è cambiata drasticamente, si ritiene sempre il rischio globale di eventi, in genere nei dieci anni a seguire, la guida per decidere l’intervento terapeutico.
Si sono, invece, affinati gli algoritmi che definiscono il rischio. E’ cambiata la prospettiva, c’è una visione più globale dei fattori di rischio che adesso vengono letti nell’ambito di un approccio a 360°.
Oggi gli obiettivi della terapia ipolipemizzante, sono più intensi e mirati ad ottenere livelli più bassi, soprattutto nei soggetti ad alto o ad altissimo rischio.
Obiettivi ben indicati dalle Linee Guida europee che parlano di portare il livello di colesterolo LDL sotto i 70 mg/dL o ad una riduzione di almeno il 50%, meglio se si riescono ad ottenere entrambi i risultati nei soggetti ad altissimo rischio (infartuati, con sindrome coronarica acuta etc). Le strategie prevedono l’uso di statine in prima linea che, tuttavia, non sempre riescono a portare a target o a ridurre del 50% i livelli di colesterolo LDL nel paziente.
Ecco, allora, che in pazienti ad alto o ad altissimo rischio non a target, in quelli che non tollerano le statine e nei soggetti con ipercolesterolemia familiare è fondamentale intervenire, tempestivamente, con le terapie in associazione.
In Italia, mediamente, i pazienti vengono trattati in modo adeguato. Tuttavia, c’è ancora troppa preoccupazione da parte delle autorità di controllo che vedono nelle terapie di II livello un elemento di disturbo per i conti della Sanità. Ma questa è una distorsione da correggere, è necessario intervenire in modo che le Linee Guida europee vengano non solo lette ma anche interpretate e recepite in maniera corretta.
Perché se è giusto, da un lato, preoccuparsi del sovratrattamento di pazienti a basso rischio (che peraltro avviene), altrettanto giusto è preoccuparsi – ed occuparsi- di non sottotrattare i pazienti ad alto rischio, cosa che purtroppo accade ancora troppo spesso con tutte le gravi conseguenze che questo comporta in termini di salute».
Nei pazienti dello studio SHARP il trattamento con simvastatina e ezetimibe ha dimostrato una riduzione significativa dell’incidenza di eventi aterosclerotici maggiori, simile a quella riportata in altre popolazioni di pazienti con fattori di rischio cardiovascolare sottoposti a terapia ipolipemizzante.
Lo studio SHARP ha dimostrato a nefrologi, cardiologi e internisti i benefici clinici e la sicurezza del trattamento ipolipemizzante in associazione nella popolazione nefropatica. E’ essenziale iniziare il trattamento prima che si instauri la fase terminale. E’ quindi importante che la gestione del rischio cardiovascolare sia sempre accompagnata dal monitoraggio della funzione renale e da interventi specifici per evitare o rallentare la progressione della malattia renale cronica.
Roberto Pontremoli, Professore Associato di Nefrologia Università di Genova e I.R.C.C.S. Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova ha sottolineato che «Lo studio SHARP rappresenta un punto importante nelle conoscenze sulla gestione del paziente nefropatico – spiega Roberto Pontremoli- Non solo perché ha dimostrato l’utilità di un trattamento ipolipemizzante sistematico in tutti i pazienti con malattia renale cronica indipendentemente dal profilo lipidico di ognuno, ma anche perché ha contribuito a chiarire, su un piano fisiopatologico, il ruolo e l’impatto delle complicanze aterosclerotiche nel determinare l’eccesso di eventi avversi in questi pazienti.
A seguito della realizzazione dello studio SHARP le Linee Guida internazionali hanno modificato l’orientamento terapeutico relativamente alla gestione della dislipidemia nel paziente nefropatico.
Sulla base dei risultati di SHARP la terapia ipolipemizzante è divenuta uno strumento terapeutico indispensabile, nel contesto più generale di un trattamento multifattoriale, al fine di ridurre gli eventi di natura aterosclerotica.
Queste nuove potenzialità terapeutiche hanno ottenuto un riconoscimento anche sul piano normativo in Italia. La nuova nota 13 dell’AIFA, prevede infatti oggi la rimborsabilità da parte del SSN del trattamento ipolipemizzante con Ezetimibe-Simvastatina in tutti i pazienti affetti da malattia renale cronica».
«Lo studio SHARP rappresenta una pietra miliare per i fattori di rischio aterosclerotici – aggiunge Claudio Rapezzi – perché fissa un concetto di grande importanza e cioè che la malattia renale cronica è un fattore di rischio cardiovascolare indipendentemente da diabete e dislipidemie e dimostra che l’uso dell’associazione simvastatina/ezetimibe risulta efficace anche se i pazienti non hanno una condizione di base di dislipidemia evidente. E’ essenziale che il trattamento ipolipemizzante inizi prima che si instauri una fase terminale».