Condividi su facebook
Condividi su twitter

Confcommercio dell’Umbria critica con forza il disegno di legge regionale in materia di agriturismo: “due pesi e due misure, una per chi può accedere a scorciatoie, una per chi lavora seriamente, nel rispetto di centinaia di pesanti adempimenti. Proteggere o incentivare la vita e il lavoro in campagna va bene, ma con il nuovo disegno di legge sull’agriturismo si accentuerà una già gravissima disparità di trattamento, tra imprese che di fatto prestano gli stessi servizi, del tutto inconciliabile con i valori di equità e giustizia”.

Al senso di equità e giustizia dei consiglieri regionali umbri si appellano gli imprenditori umbri del settore ristorativo e del commercio alimentare perché la Regione accolga il loro grido d’allarme e le richieste di modifica avanzate dalla loro associazione di categoria.

“Erano già sbilanciate le norme preesistenti, molto favorevoli all’impresa agricola ma accettabili in una logica di sostegno a questo tipo di attività e di integrazione del reddito. Le modifiche che la Regione vuole apportare sono invece inaccettabili – sostiene Confcommercio – poiché vanno nell’unica direzione di rispondere alle aspettative di coloro che svolgono a tutti gli effetti attività di ristorazione senza avere gli stessi obblighi e gli stessi costi di un ristorante. Basti pensare alle situazioni di squilibrio legate al fisco, a cominciare dall’Iva, e al diritto del lavoro.

Chi va in un agriturismo oggi pensa di essere in un ristorante, senza riflettere sul fatto che se paga di meno è solo perché i costi fissi per ottemperare alle leggi in un ristorante  sono decisamente più elevati. Si tratta di una intollerabile concorrenza sleale, che la legge non può favorire e che la Regione non può legittimare.

Se così fosse, se si perseverasse in questo atteggiamento miope – che non vede il rischio concreto di chiusura per tante imprese e di perdita del posto di lavoro per tante famiglie, che non considera nemmeno i rischi per la salute del consumatore – saremo costretti a restituire le licenze e diventare tutti agriturismi”.

Il disegno di legge cancella la soglia massima di posti a sedere e dei pasti erogabili all’anno; porta alla risibile soglia del 30% la parte di prodotto proprio fornito dal fondo; ammette la vendita di prodotti anche non provenienti dall’azienda agrituristica e le macellazioni in deroga a tutte le regole alle quali sono soggetti commercianti e macellai; ammette addirittura il principio secondo il quale costituisce agriturismo anche una attività che abbia un fondo agricolo senza annessi e che abbia locali (anche in borghi non limitrofi) dove può effettuare ospitalità, somministrazione, macellazione e vendita. Senza dover nemmeno sottostare alle norme rigidissime in materia igienico sanitaria, che garantiscono la salute dei consumatori e che devono rispettare tutte le altre attività dove si effettua manipolazione, somministrazione e vendita di prodotti alimentari.

Il tutto con controlli, non solo fiscali, effettuati con frequenza ben diversa da quelli a cui sono sottoposti ristoratori, dettaglianti e macellai.

“La Regione oggi ci deve ascoltare – conclude Confcommercio – perché le imprese, che già subiscono il peso stremante di tasse e burocrazia, che cercano in qualche modo di resistere al drammatico calo dei consumi, non possono anche accettare una ulteriore forma di concorrenza sleale, imposta per legge”.

condividi su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter