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La Cisl Umbria si lamenta, giustamente, del diverso trattamento, nei provvedimenti annunciati dal Governo, per i lavoratori attivi e per quelli pensionati, ma poi divide anche essa i pensionati tra buoni e cattivi
lavoro a fette

Quando, in Italia, si attuano decisioni economiche i Governi, di tutti i tipi, si divertono, si fa per dire, a tagliare a fette i lavoratori: da una parte i pensionati, dall’altra i lavoratori dipendenti attivi, da un’altra i lavoratori autonomi e così via, come se ci fossero, a prescindere, i buoni ed i cattivi

La cosa suscita ovviamente risentimenti, ma anche sospetti e dubbi forti di costituzionalità.

Il sospetto è che si vogliano salvaguardare posizioni che non sono nè carne nè pesce come, guarda caso, i famigerati vitalizi di cui godono tanti politici. Sembra un voler pensare male, ma il compianto Andreotti diceva, dall’alto della sua lunga esperienza politica, che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

C’è poi il fatto che il commissario preposto ai tagli della spesa pensionistica guadagna 260mila euro lordi circa all’anno

Ma i vizi di incostituzionalità delle norme così improntate sembrano basarsi fortemente su due aspetti.

In Primis la Costituzione afferma che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, lavoro tout court e non su un tipo di lavoro particolare, pertanto tutti i tipi di lavoro ed i relativi compensi ( quello dei pensionati è “retribuzione differita”) devono essere trattati alla pari .

Le retribuzioni dei pensionati poi, di volta in volta, vengono congelate o tagliate o non usufruiscono dei benefici spettanti ad altri percettori di reddito da lavoro.
In questo modo viene leso un altro principio costituzionale, quello della partecipazione alle spese dello Stato ( le famigerate tasse) che dovrebbe essere improntato alla progressività con criteri uguali per tutti.

Ora è chiaro che se tagli i redditi dei pensionati o non li adegui nella stessa misura degli altri è come se per loro aumentasse la tassazione. A parità di redditi prima della operazione quelli dei pensionati subiscono una imposizione più incisiva.

Il tema della discriminazione è anche in una dichiarazione della Cisl Umbria, in merito ai provvedimenti annunciati dal Governo Renzi, la quale tuttavia ricade nel peccato (che dice di voler eliminare) di voler frammentare il lavoro e quindi indirettamente dare un fondamento a qualsiasi operazione in tal senso, mentre la strada maestra indicata dalla carta costituzionale è solo quella di operare sui criteri, unici per tutti, della progressività della imposizione fiscale.

Le soluzioni economiche e sociali adottate dal Governo vanno nella direzione giusta. Ma non si può pensare di fare distinguo iniqui tra lavoro dipendente e pensionati”.
A sostenerlo il segretario generale regionale Cisl Umbria Ulderico Sbarra e il segretario generale regionale Fnp Cisl Umbria Giorgio Menghini che sottolineano che “un aumento di 83 euro netti mensili, per le categorie di lavoratori interessate, corrisponde a un rinnovo di contratto nazionale di lavoro della durata di tre anni.
Da questa giusta direzione che punta a rilanciare i consumi, però, non possono essere esclusi i pensionati, soprattutto quelli con pensione minima o comunque al di sotto di millecinquecento euro”.

In Umbria, dati alla mani (forniti alla Cisl dall’Inps), sarebbero esclusi anche da un’eventuale ma non probabile rimodulazione dell’Irpef il 40, 5 per cento dei pensionati umbri. Ossia coloro che hanno una pensione al di sotto dei 500 euro mensili, dal momento che solo chi ha una retribuzione al di sopra dei 654 euro può essere agevolato dalla rimodulazione in questione.
Questo alla luce di un quadro ben delineato dal sindacato cislino: al gennaio 2013, il 72,3 per cento dei pensionati percepiva un’entrata al di sotto dei mille euro. “Per questo –sottolineano Sbarra e Menghini- diviene necessario dare un segnale forte anche ai pensionati, soprattutto quelli che percepiscono entrate mensili basse”

Per aiutare queste persone e le loro famiglie andrebbe avviato un processo di revisione delle pensioni d’oro, ma anche quelle d’argento, per favorire quelle basse e permettere, in un principio di ripartizione solidale, in modo più diffuso possibile di arrivare alla fine del mese, senza elemosinare assistenza sociale.
“Forse –hanno concluso i due sindacalisti- qualcuno si scorda che penalizzare i pensionati in molti casi significa colpire le famiglie ormai troppo spesso vittime di forte disagio economico, occupazionale e quindi sociale”.
Per Sbarra e Menghini, quindi, il giudizio sulla proposta sarebbe stato positivo se, come da sempre ha sostenuto la Cisl, si fosse parlato di detassazione dei redditi da lavoro e da pensioni.

 

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