La crisi ha accresciuto il senso di insicurezza tra più di un terzo delle imprese umbre del commercio, turismo, servizi e trasporti, ma la restante parte non la vede brutta
Secondo i risultati di una indagine Confcommercio-GfK Eurisko(*) sui fenomeni criminali, che confronta dati 2007 con quelli raccolti tra ottobre e novembre di quest’anno, per il 37% degli imprenditori umbri la percezione di insicurezza circa la propria attività è peggiorata rispetto al 2008, inizio della crisi (47% il dato nazionale); per il 58% i livelli di sicurezza sono rimasti uguali (47% il dato nazionale), per il 4% sono migliorati (uguale al dato medio nazionale).
Dati forniti nel corso dell’iniziativa promossa da Confcommercio Umbria a Palazzo Cesaroni nell’ambito della giornata di mobilitazione nazionale Confcommercio “Legalità mi piace”.
Il dibattito ha coinvolto il presidente regionale Confcommercio Aldo Amoni, il presidente provinciale Giorgio Mencaroni e i massimi rappresentanti delle Forze dell’Ordine: il Prefetto di Perugia Antonella De Miro, il Questore di Perugia Carmelo Gugliotta, il comandante provinciale della Guardia di Finanza Colonnello Dario Solombrino, il Tenente Colonnello Pierugo Todini in rappresentanza del Comando provinciale dei Carabinieri di Perugia.
“Per arginare la criminalità – ha detto Aldo Amoni – prima ancora dell’azione di repressione occorrono due presupposti essenziali: politiche per le città e il territorio, che salvaguardino la funzione sociale, oltre che economica, delle attività commerciali e turistiche, vero presidio contro il degrado e la delinquenza, che riportino servizi e residenzialità grazie a incentivi e sgravi, che favoriscono eventi e iniziative; una alleanza sempre più stretta tra imprenditori, per “fare muro” tutti insieme contro i tentativi di chi vuole allungare anche in Umbria i suoi tentacoli”.
“Quello che colpisce, degli imprenditori di cui abbiamo raccolto la testimonianza per questa manifestazione – ha aggiunto il presidente provinciale Giorgio Mencaroni – è che non intendono arrendersi. Non si arrendono ai furti subiti 4 volte in pochi mesi, o due volte in una settimana, alle spaccate, alla perdita economica sempre ingente, ai danni strutturali, ai costi sempre crescenti per strumenti di difesa della propria attività. Sono preoccupati, talvolta anche angosciati, quasi sempre rassegnati al fatto che i responsabili non si troveranno mai, o se si trovano il giorno dopo sono liberi, ma continuano ad essere baluardo di quella economia sana, onesta, piena di passione per il proprio lavoro, che non intende cedere terreno all’economia illegale, che non intende rinunciare al proprio sacrosanto diritto di fare impresa in sicurezza e in tranquillità. Con la mobilitazione Legalità mi piace, Confcommercio vuole ribadire proprio questo diritto”.
Secondo l’indagine Confcommercio GfK-Eurisko, in Umbria i furti, con il 68%, (identico il dato nazionale) sono al primo posto tra i crimini percepiti in aumento, in relazione alla propria attività e al settore in cui si opera. Seguono l’abusivismo, con il 64%, e la contraffazione con il 57%: entrambi fenomeni che in Umbria sono percepiti in aumento in modo più significativo rispetto alla media degli italiani (abusivismo 55%, contraffazione 52%).
Seguono nella classifica dei crimini aumentati di più le rapine (per il 46% del campione), l’usura (per il 26%), le tangenti negli appalti (per il 24%), le estorsioni (per il 17%).
Il 9% degli imprenditori ha dichiarato inoltre di avere esperienze indirette (fatti relativi a persone da loro conosciute) e dirette di intimidazioni per finalità estorsive, contro le media nazionale del 15%.
A leggere il dato nudo e crudo sembrerebbe scontato il nesso di causalità tra la crisi e l’aumento dei taccheggi nella nostra regione: secondo l’Indagine Confcommercio-GfK Eurisko il 66% del campione ha subito furti di merce esposta nel proprio esercizio commerciale da parte di frequentatori/visitatori/clienti, dato ben superiore alla media italiana del 55%.
Ma l’esperienza diretta degli imprenditori obbliga a cambiare idea: dietro il taccheggio molto spesso non c’è lo stato di necessità.
A Legalità mi piace lo ha spiegato il vice presidente provinciale degli Alimentaristi Fida-Confcommercio Samuele Tognaccioli, titolare di alcune piccole e medie superfici nella zona di Città di Castello: “Gli artefici di questo reato sono soprattutto donne, ultrasessantenni, e i prodotti più taccheggiati sono profumi, pettini e tinture”. Molto “gettonati” anche i liquori, spesso rivenduti; c’è poi chi scambia i codici dei prodotti, così da comprare a minor prezzo un prodotto più costoso.
L’ultima “moda”, vera e propria truffa, è quella – messa in atto da giovani – che comprano cose di poco prezzo e pagano alla cassa con pezzi da 50/100 euro, poi tirano fuori gli spiccioli e, giocando sulla velocità e sulla confusione del cassiere/a, si fanno ridare sia il resto dei 50/100 euro che la banconota con cui hanno pagato. E anche in questo caso la crisi c’entra poco.
Nel caso di negozi di abbigliamento o pelletteria, in cui i prodotti sono generalmente dotati di placche antitaccheggio, qualcuno riesce a staccarle, oppure si utilizzano borse “schermate” per evitare o attutire la rilevazione dei sensori.
Il dato per le imprese è comunque allarmante: in prodotti taccheggiati se ne va una media dell’1% di fatturato dell’azienda.
La criminalità ha campo libero dove c’è più degrado e abbandono, dove le attività economiche non ci sono più. L’83% degli imprenditori sentiti da Confcommercio ha denunciato almeno un problema legato all’ambito territoriale in cui le imprese esercitano l’attività.
I più rilevanti sono i negozi sfitti (53% le risposte degli umbri, contro la media nazionale del 46%), la presenza di venditori abusivi, con il 47%, la presenza di nomadi (28%), la presenza di tossicodipendenti e lo spaccio di droga (entrambi attestati al 24%, ancora al di sopra del dato medio, pari rispettivamente al 18% e al 14%).
E’ un effetto del decadimento delle città il 9% che pone l’accento sugli edifici abbandonati, il 10% che parla di prostituzione (dato più alto della media nazionale del 7%), mentre merita attenzione un poco prevedibile 6% che denuncia la presenza di baby gang e il 4% che denuncia risse tra bande rivali nelle zone in cui opera.
Per difendersi dai fenomeni criminali meno della metà (esattamente il 48%, contro il 50% del dato italiano) degli imprenditori umbri intervistati ha messo in campo almeno una azione.
Telecamere e impianti di allarme sono gli strumenti prevalenti (28%), seguiti dalla vigilanza privata (18%), dalle assicurazioni (17%), dalla vetrina corazzata (13%, superiore al dato nazionale dell’8%).
Tra le iniziative considerate più efficaci per tutelare la sicurezza delle imprese il 65% degli intervistati umbri ha indicato una maggiore protezione del territorio da parte delle forze dell’ordine, il 54% la certezza della pena, e un significativo 38% – ben superiore alla media nazionale del 26% – una maggiore collaborazione con le forze dell’ordine. C’è poi un 18% che chiede interventi degli enti locali e poliziotti di quartiere, e un 14% delle associazioni di categoria.
In aumento rispetto allo scorso anno l’acquisto di prodotti illegali/contraffatti e l’utilizzo di servizi erogati da parte di soggetti non autorizzati.
Nel 2014 lo dichiara il 27% dei consumatori rispetto al 25,6% dello scorso anno (+1,4%). In prevalenza sono uomini, d’età compresa tra i 35 ed i 44 anni.
Tra i prodotti contraffatti più acquistati l’abbigliamento (46,6% quest’anno rispetto al 41,2% del 2013, con un aumento di oltre il 5%); i prodotti alimentari (38% nel 2014 contro il 28,1% dell’anno precedente, con un aumento del 10% circa); orologi, gioielli, occhiali (33% quest’anno rispetto al 29,2% del 2013); prodotti di pelletteria (24,9% nel 2014 contro il 26,9% dello scorso anno); scarpe e calzature (23,3% quest’anno rispetto al 21% dell’anno precedente); farmaci e prodotti parafarmaceutici (21,2% contro il 15,1% del 2013). Il forte aumento dell’acquisto contraffatto soprattutto di alcuni prodotti, come gli alimentari e i farmaceutici, è un segno evidente delle difficoltà economiche dei consumatori stretti nella morsa della crisi.
Per oltre il 70% dei consumatori la ragione principale dell’acquisto di prodotti o servizi illegali è sostanzialmente di natura economica (“si pensa di fare un buon affare, risparmiando”; “non si hanno i soldi per comprare prodotti legali”).
Tre consumatori su quattro sono concordi nell’affermare che l’acquisto dei prodotti illegali o l’utilizzo di servizi irregolari è piuttosto normale e per di più si rivela utile per chi è in difficoltà economica visto il periodo di crisi.
Cresce la percentuale di consumatori che afferma che l’acquisto illegale è effettuato in modo consapevole (32,1% nel 2014 contro il 19,8% del 2013, con un aumento del 12,3%). Il livello di informazione
Soltanto il 56% circa dei consumatori conosce il rischio di incorrere in sanzioni amministrative per gli acquirenti di prodotti o servizi illegali. Il 17,9% non ne è informato e il 26,2% non sa di cosa si stia parlando.
Due imprese su tre si ritengono danneggiate dall’azione dell’illegalità. Nel 2014 la percentuale sale al 61,1% contro il 57,2% del 2013, con un aumento di quasi il 4%.
Per oltre l’80% delle imprese la crisi economica sta avvantaggiando il mercato dei prodotti illegali e l’esercizio abusivo delle professioni.
Gli effetti dell’illegalità sulle imprese
Tra gli effetti più dannosi prodotti dalle diverse forme di illegalità (contraffazione dei prodotti, acquisizione illegale di prodotti via internet, musica e videogiochi, abusivismo commerciale e/o esercizio illegale di una professione), le imprese indicano principalmente la concorrenza sleale (60,8%), la riduzione dei ricavi e del fatturato a causa delle mancate vendite (37,5%), il dovere rinunciare ad assumere nuovi addetti o, in qualche caso, a mantenere i livelli occupazionali attuali (15%).