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La storia delle vicinali con servitù di passaggio non ha rispetto per nessuno: neppure per la storia
todi-garibaldi

Mi si dirà che sono ripetitivo, ma la storia delle strade vicinali con servitù di passaggio, affidate alle cure dei proprietari, è una di quelle che finisce sempre male. Perché? Perché i frontisti non trovano mai l’accordo per dividere i costi della manutenzione.

Ho proposto, a suo tempo, che sia il Comune di Todi a coordinare il gioco, costituendo consorzi obbligatori con tutti i proprietari. Il Comune cura la manutenzione, ma la fa pagare a quelli. Mi pare essere l’unico criterio ragionevole per assicurare la percorribilità di quei tracciati, di solito antichi, ricchi di paesaggio ma pieni di buche.

Se non fossimo rissosi e gioiosamente concentrati sul proprio ego, l’equa divisione dei costi sarebbe la soluzione più facile. La più facile e la più corretta.
Chiedete in giro: c’è una strada vicinale con servitù di passaggio, nel vastissimo territorio del Comune di Todi, che possa vantarsi d’essere ben curata dai proprietari che spartiscono le spese? Se c’è fatecelo sapere, suggerendoci anche il metodo per mantenere salde le amicizie.

La nostra strada vicinale, con servitù di passaggio, è diversa dalle altre per due ragioni. E’ una scorciatoia della provinciale o intercomunale che va da Pontecuti a Doglio – tre chilometri di percorso risparmiato – e per questo possiede due uscite o, se preferite, due entrate. A monte a Mannella; a valle a Canonica.

La seconda ragione – e qui ci si mette il cuore – è che è la strada che hanno percorso Garibaldi e Anita nel lasciare Todi e l’ospitalità dei Veralli-Cortesi e poi del Palazzaccio, la sera del 12 luglio del 1849 nella “gloriosa ritirata da Roma”, alla fine della Repubblica, come rammenta la lapide che ricorda quel breve soggiorno.
Meta di quella tappa era Orvieto. E la sterrata che si srotola di fronte a casa nostra, era l’unica adatta ad assicurare un passaggio protetto ai fuggiaschi. Il grosso delle forze avrebbe marciato di notte sulla strada più larga.

Tanti anni fa ho scoperto il privilegio di abitare sulla “strada di Garibaldi”, ascoltando il racconto dei vecchi del posto, ormai tutti scomparsi, fieri d’essere i raccoglitori delle memorie dei loro bisnonni e avi che avevano salutato, nella calda notte di quel 12 luglio, il passaggio del carro che trasportava Anita. Al suo fianco, a piedi, Garibaldi le teneva la mano. Lei, incinta, aveva deciso di smontare da cavallo, lasciando la sella in dono ai benefattori tuderti.

Siamo in dieci noi frontisti che dovremmo avere a cuore il mantenimento di questa strada carica di memorie. E nelle memorie come non mettere l’antico convento camaldolese, che è stato dimora di Piero Dorazio? Il muro dell’eremo segue le curve dello stradello e ne valorizza il percorso. In certi tratti, con le carie aperte dai sassi rotolati dal colmo, fa capire quanti secoli sono passati dalla prima pietra.

Solo in due occasioni, negli ultimi vent’anni, siamo riusciti a trovare l’intesa e spartire il costo della manutenzione. Ma mica tutti hanno pagato. Si sono sottratti quelli che sostengono che, essendo lì da sempre, non gliene importa niente.
E un tale che dopo aver martirizzato il tracciato con il passaggio delle betoniere – tutto documentato da foto – ha replicato con raccomandata che la strada sta bene così, perché dissuade i malintenzionati.
Nella parte alta è stata rabberciata l’estate passata da me con un veloce passaggio di escavatore che ha ripristinato un minimo di percorribilità. Nella parte bassa, di recente, un altro volonteroso ha spianato le buche.

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