#iorestoacasa, tanti inviti e diversi decreti hanno fatto sì che le famiglie, a seguito della pandemia da Coronavirus, si siano trovate, quasi all’improvviso, chiuse nelle loro case, e abbiano potuto toccare con mano quanto tutto quello che un tempo definivano “virtuale” sia sempre stato qualcosa che faceva parte della vita reale: relazioni, possibilità di lavorare e di fare scuola a distanza, momento di svago e divertimento.
“La dicotomia tra reale e virtuale – scrive Stefano Epifani, Advisor per le Nazioni Unite, docente alla Sapienza di Roma e autore del libro Sostenibilità Digitale – è la prima da superare perché di questa sono figlie tutte le distinzioni che provano più o meno efficacemente a contrapporre due dimensioni di realtà: analogico e digitale, materiale e immateriale, on-line e off-line”. Distinzione che, nella realtà dei fatti, si è rivelata inesistente.
“E’ inevitabile – spiega Epifani nel libro – che dalla contrapposizione emergano valori positivi da un lato, e negativi dall’altro. In un gioco a squadre che spesso vede nei sostenitori di ognuna delle due parti il tentativo di difendere la propria, piuttosto che di comprendere l’evoluzione di un fenomeno, in un contesto in cui si fa ancora fatica a ricordare che l’opposto di reale non sarebbe virtuale, bensì irreale. E questa sostituzione non fa altro che sollecitare il convincimento dei più per il quale virtuale voglia dire, semplicemente, irreale”.
Ma irreale non sono le conversazioni che si instaurano attraverso il digitale, per esempio tramite Telegram o Whatsapp. Irreale non è certo la lezione che i ragazzi hanno l’opportunità di seguire a distanza. Irreali non sono i video dei tanti sindaci che informano le persone attraverso Facebook circa la situazione contagi, o quelli promossi da tanti in questi giorni e finalizzati a far fare un sorriso o passare qualche ora “in compagnia”. Niente di irreale c’è nel digitale che ha permesso alle persone di continuare a vivere la vita reale, come non si sarebbe potuto in assenza di Internet.
“La scelta tra reale e virtuale – puntualizza Epifani – ha sempre meno senso, in un contesto nel quale questi due concetti sono, e saranno sempre più, compenetrati. In un mondo in cui l’informatica è uscita dai confini dei computer ed è entrata negli oggetti, e, per contro, le persone possono – e potranno sempre di più – muoversi in spazi virtuali dai confini illimitati, con margini di sovrapposizione tra i due contesti progressivamente più ampi, ha davvero poco senso chiedersi cosa sia reale e cosa sia virtuale. La realtà è già, oggi, nel contempo analogica e digitale e le distinzioni dicotomiche faticano sempre di più a resistere alla prova dei fatti. Si pensi ai processi di acquisto: quando decidiamo cosa comprare? Quando qualcuno ci parla bene di un prodotto al bar o quando leggiamo la recensione lasciata da un amico su un social network? Quando lo vediamo in negozio o guardando un video on-line? Quando parliamo con un commesso o quando ne discutiamo in un forum? Già oggi abbiamo perso la capacità di distinguere l’origine delle sollecitazioni che definiscono le nostre decisioni. Ma l’abbiamo fatto perché tale capacità – per l’utente comune – è sostanzialmente inutile. Gli strumenti digitali stanno contribuendo a ridefinire profondamente il senso di molti concetti, la variazione di senso che ne risulterà sarà, sempre più, figlia di un mondo in cui la distinzione tra reale e virtuale apparirà – soprattutto alle nuove generazioni – man mano più vacua.”
Cosa potremo imparare da questo momento di difficoltà in merito al digitale, allora? Come questo potrà cambiare, a emergenza finita, le nostre vite?
 “La società deve sforzarsi di ricollocare il significato dei concetti di reale e virtuale. Dando al reale un senso nuovo: quello di una dimensione che lo veda rappresentato come il luogo nel quale il contesto fisico e quello immateriale ridefiniscono il nostro modello di interazione con le altre persone, con le informazioni, con tutto il mondo che ci circonda. E recuperando dal virtuale, invece, la radice in comune con virtuoso, quella radice che riprende il concetto di virtù e che ci ricorda che il digitale può migliorare il mondo, renderlo più sostenibile, alimentare un progresso che permetta un reale miglioramento delle condizioni di vita dei singoli e una crescita di consapevolezza nella società. Solo cercando di superare la dicotomia tra reale e virtuale, che è la dicotomia che spinge a ragionare su modelli di difesa, piuttosto che su schemi di integrazione, la società acquisirà la maturità necessaria per orientarsi in quelle che sono le reali dicotomie sulle quali sarà chiamata a scegliere”.
La sostenibilità digitale è la sfida del decennio. Utilizzare la tecnologia con l’obiettivo di costruire un futuro migliore e perseguire gli obiettivi dello sviluppo sostenibile è un percorso che il libro di Epifani delinea e costruisce. Se saremo in grado di raccogliere questa sfida nessuno ancora lo sa. Dovremmo però tentare di farlo con tutte le energie a disposizione, sapendo che oggi è l’arma più formidabile per vincere le ulteriori difficoltà che l’emergenza Coronavirus ci lascerà in eredità.

 
		









