Ormai da qualche settimana campeggiano a Todi alcuni manifesti enigmatici che annunciano, con testi che si aggiungono di volta in volta, un ritorno. Siamo in grado di “svelare” che il ritorno in questione è quello di Jacopone da Todi, del quale si è “follemente” interessato il professor Claudio Peri, autore di un pregevole volume di imminente uscita che ha l’ambizione di dare il là ad un’operazione di autentica riscoperta e di grande rilancio della figura di Jacopone da Todi, sotto l’aspetto culturale e spiriturale ma anche “politico” e turistico.
Incontriamo Claudio Peri, professore emerito dell’Università di Milano, nella sua casa di via Paolo Rolli, alla quale è tornato dopo 50 anni di attività accademica, per trascorrere in tranquillità la pensione e godersi ogni sera, come tiene a sottolineare: “lo spettacolo stupefacente dei tramonti del sole sui monti Amerini”. Abbiamo tra le mani il libro delle laudi di Jacopone da lui curato e in uscita per i tipi della Fabrizio Fabbri Editore. È un libro molto bello, che si sfoglia e si legge con piacere.
Professor Peri, ci è nota la sua attività di docente universitario sui temi della qualità, della sicurezza e dell’etica delle produzioni alimentari; che lei si occupi della poesia di Jacopone ci ha molto sorpreso. A cosa è dovuto questo “salto di interesse”? «Ne sono sorpreso anch’io. Se non fossi addestrato allo spirito critico da una vita dedicata alla ricerca scientifica potrei pensare di essere stato destinatario di un messaggio extraterrestre…».
Di che si è trattato? «Nel marzo 2017 ero all’Università di Davis dell’Università di California per partecipare a un Congresso sul futuro delle produzioni alimentari. In una pausa del congresso stavo aggirandomi fra gli scaffali della libreria di quella Università, quando i miei occhi caddero sul più inatteso e improbabile dei libri possibili: una biografia di Jacopone pubblicata nel 1919 dalla scrittrice inglese Evelyn Underhill. Ne fui sbalordito».
Lei sta dicendo che in una libreria dell’Università di California, nel 2017, veniva proposta la lettura di una biografia di Jacopone? «Proprio così: quella magnifica biografia che lessi subito e tutto d’un fiato, aprì la mia mente alla poesia di Jacopone con commenti e intuizioni di cui in Italia non avevo mai avuto alcun sentore. Poi, nelle settimane successive, con sorpresa crescente, fui investito da una valanga di notizie internazionali su Jacopone: un’Università degli Stati Uniti dedica a Jacopone un premio alla poesia; esistono diverse traduzioni in inglese delle laudi dovute a traduttori americani, inglesi e irlandesi; esistono anche numerose traduzioni delle laudi in francese, l’ultima delle quali è del 2014; dalla Sorbona di Parigi è stato divulgato nel 2013 un nuovo libro dedicato a Jacopone e alla sua poesia. Una professoressa dell’Università di Bucarest ha tradotto in rumeno 35 laudi di Jacopone e le ha pubblicate nel 2018. Questa è solo la punta dell’iceberg. Insomma, ho preso atto rapidamente che, dopo otto secoli, la poesia di Jacopone è studiata, tradotta, meditata e molto amata nel mondo».
La cultura italiana è consapevole della attenzione internazionale all’opera di Jacopone? «Non vorrei fare la figura dell’esterofilo saccente, ma non posso impedirmi di riflettere su due punti: il primo è che gli studiosi italiani hanno in generale una conoscenza inadeguata delle pubblicazioni dedicate nel mondo a Jacopone. Il secondo è che gli studi italiani sono prevalentemente di filologia, ma ciò non può bastare. La comprensione della poesia implica attenzione ed empatia per il mondo spirituale del poeta. E questo è molto raro da trovare in Italia».
E’ chiaro che per lei stimolare l’attenzione sull’opera di Jacopone sia diventato quasi una missione e un dovere nazionale… «Vorrei che Jacopone, uomo di straordinaria forza morale, capace da risorgere da drammatiche prove e disavventure personali ci ispirasse la resilienza e l’orgoglio per risorgere dalla esperienza della pandemia. Il suo nome è associato indissolubilmente a quello della nostra città: vorrei che ne fossimo degni».