Nelle ultime settimane è tornata al centro del dibattito la questione della riattivazione della Ferrovia Centrale Umbra, la storica linea che si snoda, per circa 151 km., lungo l’Umbria centrale, da San Sepolcro fino a Terni. Ognuno di noi, nel corso della vita, è salito almeno una volta su quei piccoli convogli composti spesso dalla locomotiva e da un solo vagone. A volte li abbiamo trovati vuoti altre volte troppo affollati. Spesso non erano riscaldati. Eppure ci si viaggiava volentieri sia perchè il biglietto era economico sia perchè conducevano direttamente nel cuore della città di Perugia, la piccola stazione di S. Anna, a pochi passi dal centro storico del capoluogo regionale, dai principali uffici pubblici, dalle scuole e dall’Università: una sorta di metropolitana di superfice, ecologica e sostenibile, utile anche per tutti quei turisti che arrivano per visitare le città d’arte e i luoghi religiosi di cui la nostra regione è ricchissima.
La FCU fu inaugurata il 12 luglio 1915, nel tronco compreso fra Terni e Umbertide (all’epoca stazione terminale), dopo una lunghissima gestazione iniziata nella seconda metà dell’Ottocento. Dopo circa un secolo di servizio la ferrovia stessa è stata chiusa completamente nel settembre del 2017 per motivi di sicurezza dovuti a carenze manutentive. Nel 2018 è stata riaperta al transito la sola tratta Città di Castello – Perugia ad una velocità massima di 50Km/h mentre, nel tratto da Perugia a Ponte San Giovanni, dal 2017, sono tutt’ora in corso i lavori per il raddoppio dei binari che dovrebbe essere pronto entro il 2022.
Il recente inserimento del progetto della FCU all’interno dei cospicui fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) fa ben sperare e consentirà, entro il 2026, se tutto andrà per il meglio, di veder risorgere a nuova vita, come una specie di “Araba Fenice” che rinasce dalle proprie ceneri, una ferrovia storica che è certamente nata sotto una cattiva stella avendo avuto sempre una gestione piuttosto difficile e travagliata.
Cominciata a costruire nel 1911, fu voluta fortemente dalle comunità locali che, attraverso i consigli comunali, fin dal 1913, ne chiedevano l’apertura dell’esercizio anche a trazione a vapore, senza attendere il completamento dell’elettrificazione. Invece trascorsero altri due anni prima dell’avvio che poi avvenne, effettivamente, nel 1915, proprio con i treni a vapore. Lo stesso ministro dei lavori pubblici Augusto Ciuffelli, con una lettera dell’aprile 1913, consigliava ai sindaci di attendere il completamento dell’elettrificazione sia perchè la Mediterranea – concessionaria del servizio – aveva ottenuto una proroga per l’apertura dell’esercizio fino al novembre 1913 e sia perchè “Il ritardo nell’apertura della linea a trazione elettrica non sarà apprezzabile e si obbligherebbe la Società ad una spesa di fornitura di materiale rotabile che poi non sarebbe più necessario”.
Anche l’inaugurazione, avvenuta dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, fu sottotono, senza alcuna cerimonia ufficiale, ma in alcune stazioni, in particolare a Todi, i cittadini organizzarono comunque dei momenti di festa con tanto di banda musicale. Per l’occasione venne ricordato colui che si era speso maggiormente per l’opera e cioè il ministro Ciuffelli, di origini massetane, al quale si attribuiva il merito di aver consentito la risoluzione della vicenda, trascinatasi per oltre trent’anni. Per l’epoca, l’Umbria veniva dotata, bene o male, di una infrastruttura di fondamentale importanza per combattere l’isolamento e, seppur partita con locomotive a trazione a vapore, venne poi elettrificata nel 1920 anche a causa della guerra che ne ritardò il completamento dei lavori.
Anche i comuni concorsero alle spese dell’opera, attraverso, ad esempio, la costruzione delle strade di accesso alle proprie stazioni. Fratta Todina e Monte Castello di Vibio, in vista dell’apertura al transito dei treni, nel settembre del 1914, decisero così di realizzare l’attuale strada “della stazione” che partendo dalla Todi-Marsciano (presso il ponte sul Faena) collega alla ferrovia con un percorso di 791 metri. Il progetto, approvato dai rispettivi consigli comunali, fu redatto dall’ing. Donati per un importo di 12.670 lire finanziati, per un quarto della spesa, dai due comuni e, per la rimanente parte, con appositi contributi del Governo nazionale e della Provincia di Perugia.
Durante la Seconda guerra mondiale, si registrarono gravi danni a tutta la linea della FCU anche a causa dei bombardamenti agli impianti di Umbertide, Ponte San Giovanni e Terni, fino al blocco totale nel giugno del ‘44. Dal ‘46 incominciò il lento ripristino di alcune tratte fino alla riapertura completa nel 1953. Poi ci fu uno scampato fallimento alla fine degli anni Settanta, per giungere, nel 1982, alla gestione governativa.
Nel 1997 i treni elettrici sono stati sostituiti da locomotori a gasolio e da allora il dibattito sul ruolo della FCU, sulle sue potenzialità e la necessità di un suo ammodernamento è stato sempre acceso. Nel frattempo, però, la ferrovia restava in bilico fra buoni propositi e
carenze reali fino all’epilogo finale del 2017.
Ora ha l’occasione concreta di risorgere grazie ai fondi straordinari (ma una tantum) del Recovery fund che permetterà, nell’immediato, di ripristinare le linee e gli impianti ma, poi, ogni anno, serviranno nuovi fondi per la gestione e la manutenzione ordinaria. E a quel punto, occorre essere consapevoli, che, se non si troveranno soluzioni strutturali, ripartirà di nuovo la sfida infinita che dura ormai da oltre un secolo.