Condividi su facebook
Condividi su twitter
In occasione della giornata dell’8 marzo, si ricorda la straordinaria vita di Ana Maria De Jesus Riberio, che si fermò due giorni a Todi
Lapide Massa Martana

Fra le figure femminili più significative della storia recente Ana Maria De Jesus Riberio, nota con il nome di Anita Garibaldi, occupa senza dubbio un posto d’onore in quanto simbolo di eroismo ed emancipazione femminile. Una storia unica e irripetibile che, insieme a quella di Garibaldi, si intreccia con il Sud America, l’Italia e pure con il territorio tuderte.

Nata a Laguna nel 1821, nell’estremo Sud del Brasile, nello stato di Santa Catarina, Anita è la terza di dieci figli. Riceve un’educazione elementare, ma dimostra sempre intuito e intelligenza. Sa cavalcare a pelo con una grande destrezza ed è anche una esperta nuotatrice. Alla morte prematura del padre, per tifo, la sua famiglia cade in povertà ed è per questo che la madre cerca di accasare quanto prima le figlie maggiori. Anita, all’età di 14 quattordici anni, sposa (ma contro la sua volontà) Manuel Giuseppe Duarte, un calzolaio, conservatore e reazionario, più vecchio di lei.

Il matrimonio dura appena tre difficili anni quando il marito la lascia per unirsi alle truppe dell’esercito imperiale. Di lui, poi, non si hanno più notizie. Con gli inizi tanto difficili della sua esistenza niente può lasciar supporre che, solo due decenni dopo, il suo nome sarebbe stato famoso nel mondo e che Anita sarebbe divenuta l’eroina leggendaria di due continenti.

Il Brasile di quegli anni è in fermento rivoluzionario: il paese ha raggiunto l’indipendenza dal Portogallo nel 1822 ma al potere c’è ancora un imperatore e alcuni stati brasiliani, incluso quello di Santa Catarina, aspirano all’indipendenza. Lo zio Antonio inizia Anita alla politica e agli ideali di giustizia sociale. La ragazza, emancipata e amante della natura guarda con ammirazione i ribelli Farroupilha (o straccioni) che nel 1835 portano la rivoluzione a Laguna. 

Giuseppe Garibaldi, rifugiatosi in America Latina per sfuggire ad una condanna a morte per avere partecipato ai moti carbonari di Mazzini, nel 1839, arriva nei pressi di Laguna prendendo subito parte a insurrezioni locali.
Qui scoppia il colpo di fulmine fra la giovane Anita (che ha 18 anni) e Garibaldi (che all’epoca ne ha 32). Anita non passa inosservata agli occhi dell’eroe dei Due Mondi: è alta, forte, snella, dal viso ovale, occhi e capelli neri, sciolti sulle spalle. Lei invece è attratta dal bel guerrigliero italiano dagli occhi azzurri e dalla barba bionda e, da quell’istante, non lo lascia più. 

Anita segue il suo uomo (che chiama Josè) in numerose battaglie prodigandosi come può, anche sotto il fuoco nemico, fino a cadere prigioniera delle truppe imperiali brasiliane dal cui controllo riesce a evadere fuggendo al galoppo di un cavallo appena rubato fino a riunirsi al suo uomo e ai suoi uomini.
Poco dopo sfugge ad un’altra cattura ad appena dodici giorni dal parto del primogenito, Menotti. Con il neonato in braccio scappa a cavallo e si rifugia nel bosco per quattro giorni, senza acqua nè cibo, fino all’arrivo di Garibaldi.

I giornali descrivono Anita, già nel 1841, come un’eroina, combattente a cavallo e con la spada in pugno. Si dice pure che porta sempre con sè due pistole.
Trasferitisi a Montevideo, in Uruguay, Garibaldi, per vivere, è costretto ad insegnare in un collegio e Anita si prodiga come sarta. In un momento di relativa calma la loro unione di fatto viene legalizzata con il matrimonio in chiesa nel 1842. Nascono altri figli: Rosita che muore a soli due anni, Teresita e Ricciotti. Garibaldi prosegue come comandante della flotta locale in guerra contro la dittatura argentina di De Rosas. Montevideo viene messa sotto assedio e, mentre Anita è ora infermiera da campo, Garibaldi, con soli 190 uomini, si batte vittoriosamente contro 1.500 soldati.

Nel 1848, apprese le prime notizie delle rivoluzioni in Europa, Garibaldi decide di tornare in Italia facendo partire per primi Anita con i loro tre figli. I quattro sbarcano a Genova il 27 dicembre 1848 dove vengono accolti da una folla entusiasta di tremila persone: la fama dei coniugi Garibaldi li ha già preceduti! Il marito arriva sei mesi dopo e, nel febbraio del 1849, decide di raggiungere Roma dove nel frattempo è stata proclamata la Repubblica Romana per difenderla dall’attacco di francesi, spagnoli e borbonici. Anita è di nuovo incinta ma decide nuovamente di raggiungere il marito lasciando i figli alle cure della suocera a Nizza. 

Giunta a Roma il 26 giugno, Garibaldi, nel vedersela apparire di fronte la presenta così ai suoi commilitoni: “Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!” Il 4 luglio la resistenza romana al Gianicolo cede e Garibaldi con poco meno di quattromila uomini è costretto a fuggire in direzione di Venezia che ancora resiste. Neppure in questo frangente Anita lo abbandona e sale in groppa al suo cavallo decisa a risalire l’Italia centrale con il suo uomo. 

Dopo essere transitati per Tivoli e per Terni, i garibaldini l’11 luglio giungono anche a Todi dove, per due giorni, si acquartierano presso il convento dei Cappuccini. Anita, molto provata dagli sforzi e dalla gravidanza, appare già molto stanca. Per risparmiarle rischi e sacrifici, Garibaldi, cerca di convincerla a rientrare a Nizza dai propri figli, ma lei non cede dal suo proposito, forse anche perchè si dice che è molto gelosa. 

In quelle circostanze nasce l’idea di far realizzare dal sellaio Branzani una sella più comoda per Anita rispetto a quella su cui aveva cavalcato in precedenza. E proprio quest’ultima viene lasciata alla città di Todi, dove è tutt’ora esposta quale cimelio nel Museo civico comunale. Secondo la tradizione viene inoltre piantato il cipresso nell’orto della piazza intitolata poi a Garibaldi che svetta ancora oggi. 

Ciò che rimane delle truppe riparte da Todi il 13 luglio in direzione di Orvieto, via Prodo, sempre intenzionati a raggiungere Venezia. Una colonna garibaldina in transito trascorre una notte al convento di Spineta, mentre alcune reparti sbandati, nei giorni seguenti, vengono segnalati dal conte Giovan Battista Mortini, presso l’ex convento di S. Maria in Monte e il paese di Doglio.

La brigata garibaldina, inseguita dagli eserciti nemici, si scioglie a San Marino, ma i due sposi proseguono la loro folle corsa fino all’epilogo nelle valli di Comacchio. Anita, in preda alla malaria e per gli sforzi del viaggio, conclude la sua vita in un ambiente simile alla sua terra natia: una laguna, tra sabbia, specchi d’acqua e canneti.

Oggi ad Anita sono intitolate piazze e città. Anche a Massa Martana, una lapide murale commemorativa, nel 1907, viene collocata a fianco di quella di Garibaldi nel centenario della nascita di questi. 

La vita di Anita è brevissima. Muore a soli 28 anni di cui dieci trascorsi al fianco di uno degli uomini più famosi del suo tempo, vivendo una vita di rinunce e delusioni, ma che conosce i sentimenti più veri e più forti. Ciò che sceglie sempre con determinazione e coraggio, infatti, la rendono tutt’ora unica.
E la terra dove è morta la ricorda ancora. Ogni anno, il 4 di agosto, giorno della sua morte, a Mandriole, presso la fattoria Guiccioli, oggi museo, si cantano le canzoni del Risorgimento che parlano di lei e un gruppo storico di garibaldini, con fucili ad avancarica, sparano a salve al grido: «In onore di Ana di Riberio Garibaldi!».
In Romagna molte donne portano ancora il suo nome.

condividi su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter