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L'evento internazionale dedicato all'imprenditoria sociale ha vissuto sabato al convento di Montesanto la sua seconda giornata
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Il Social Enterprise Open Camp, evento internazionale dedicato all’imprenditoria sociale, continua a Todi fino a lunedì 23 ottobre. La seconda giornata, quella di sabato, ha dato spazio ai sei case studies su cui i 300 partecipanti di questa edizione avranno modo di lavorare e confrontarsi.

Albergo Etico: il mondo della disabilità può essere una componente economica dirompente; Identità e bellezza: una piccola comunità come Sciacca può unirsi e collaborare insieme per dare vita ad una nuova economia turistica; Koiki: è possibile aprire la strada ad un nuovo modello di delivery più sostenibile e inclusivo; Moltivolti: rappresentazione perfetta della visione imprenditoriale e lavorativa dei migranti; Shamba Pride: l’agricoltura africana ha bisogno di una svolta tecnologica e sta aprendo nuove strade per raggiungerla; WidEnergy: anche le donne africane possono diventare imprenditrici in settori tipicamente maschili quale quello dell’energia elettrica.

A dare la carica per affrontare il lavoro è stato il talk ispirazionale di Mauro Berruto, ex CT della Nazionale italiana di Pallavolo maschile e mentore nonché primo firmatario della modifica dell’art. 33 della Costituzione italiana. “Come nello sport, anche nella vita dell’impresa si alternano vittorie e sconfitte. La sequenza non è mai lineare e bisogna imparare a gestire i momenti buoni e quelli meno buoni, perché ad ogni nuovo step si ricomincia sempre daccapo. All’interno di ogni squadra si delineano sempre due gruppi opposti: sabotatori e alleati. È necessario imparare a riconoscere gli alleati, tenendo sempre bene a mente che non è importante quanti ne siano, bensì come essi siano, la loro qualità rispetto agli obiettivi prefissati. Considerante, infatti, che anche pochissime persone ma caratterizzate da forti motivazioni hanno il potere di stravolgere totalmente un’organizzazione.” Continua Berruto: “Le imprese, come le persone, sono organizzazioni in continuo cambiamento. Le strade che una persona, o un’impresa, può percorrere possono essere ricondotte a tre: quella della fragilità, quella della resilienza e quella dell’antifragilità. Nel modello della fragilità si fanno pochissimi errori perché, sostanzialmente, si resta immobili e non si prendono scelte compromettenti. Nel modello della resilienza, invece, si affronta la realtà restandone, però, indifferenti: ad ogni errore, si ricomincia uguali a prima senza essere cambiati in nulla. Il terzo modello è quello dell’antifragilità: ogni volta che si supera un problema, si acquisiscono nuove informazioni e ne usciamo diversi rispetto a prima. Quindi, più problemi si risolvono, più aumenta le capacità risolutive.” Lo speech di Berruto si conclude con il tema dell’attitudine. “Molte persone hanno estremamente sviluppato quello che definiamo il richiamo al desiderio: è una capacità, un vero e proprio talento di guardare il mondo da prospettive diverse attraverso la bellezza, che diventa uno strumento chiave per accelerare lo sviluppo sia degli aspetti tecnici che del benessere psicofisico. Per trasformare lo status quo bisogna avere non solo abilità e talento, ma tanta volontà e l’attitudine giusta rispetto al problema. Le grandi performance sono il risultato di abilità tecniche moltiplicate per la volontà di riuscire, ma il tutto sottende sempre all’atteggiamento, quello spirito, quella disposizione d’animo di una persona a rispondere al desiderio. L’uomo, come diceva Goethe, deve elevarsi: solo ponendosi ideali alti e supremi può provare a raggiungere importanti obiettivi, riuscendo a completarsi e a dare un senso al suo ‘essere’ umano.”

A chiudere la seconda giornata del Social Enterprise Open Camp è stato Giovanni Teneggi, responsabile della promozione delle imprese di comunità di Confcooperative, il quale ha riflettuto su tema Comunità, nostro bene comune: “C’è una consapevolezza che dobbiamo fare nostra: quando parliamo di ‘comunità’ ne parliamo nella sua assenza, nel lutto. È molto potente la mancanza profonda di un ‘noi’, di un luogo di provenienza e di un luogo di destinazione. Le comunità oggi sono ‘sfinite’, vengono da una lunga resistenza, chiuse in una veglia costante. Le veglie sono attese nel lutto, eppure perdurano insistenti. Questa ostinazione non è muta e usa delle parole secondo significati e rappresentazioni del passato: allora anche quelle parole diventano una trappola insidiosa. Tali termini sono: identità, appartenenza, tradizione. Occorrono parole nuove, oppure nuovi significati da attribuire loro perché non c’è innovazione senza modificare la parola e spingere le persone a mettersi di nuovo in scena. Allora l’Identità, che ancora utilizziamo come omologazione ad un codice, non deve essere più legata al nostro passo o rigenerata, bensì deve generare e deve contaminarsi attraverso la conversazione creativa. Così come appartenenza deve essere capovolto: i territori devo essere considerati lo strumento delle persone che decidono di abitarli nuovamente, e non viceversa. Così come non dobbiamo più parlare di tradizione, bensì di trasformazione. I grandi processi di generalità sono processi di innamoramento collettivo: per creare una comunità, come l’amore, bisogna perdonarsi, cercare il bene e volerlo. Le comunità oggi sono nella veglia del lutto perché non si vogliono bene, non si perdonano e cercano il male.” Poi Teneggi descrive quanto sia importante il ruolo delle persone all’interno dei territori, perché ciascuno di noi, con la propria volontà e desiderio, può ridare senso al territorio stesso: “Non possiamo parlare di paesi e di quartieri senza considerare che è l’umanità che li attraverso da dentro con i propri desideri. Eppure, ancora qualcuno afferma che il senso deriva dai territori. Non è così. Ci sono corpi che hanno bisogno del senso della Terra e questa grande anima della Terra cerca corpi e cerca l’uomo. Dare corpo e fare luoghi è fondamentale per parlare ragionevolmente e credibilmente di sostenibilità, di pacificazione, di umanità. La solitudine è il grande male che il mercato insegue, e invece la forma della cooperativa di comunità consente una struttura più credibile, costruttiva e generativa. Le cooperative sono palestre di capacità dell’abitare. Ci vuole una certa specializzazione, perché non basta stare in un posto, e abitarlo, e abitarlo insieme: bisogna abitarlo insieme economicamente. Perché se non tiriamo in ballo l’economia e l’impresa, e se la comunità non fosse il prodotto di un’impresa, noi saremmo fragili e volatili. Dobbiamo essere disponibili ad accompagnare la nascita di imprese che facciano di questo un progetto anche economicamente valido.” Tenggi pone uno sguardo innovativo anche sul tema della transizione: “Come si fa a parlare di transizione ecologica ignorando la Transizione comunitaria? La transizione digitale è un alleato immancabile, ci aiuta a gestire meglio questa stupenda complessità. La transizione ecologica è necessaria, altrimenti non avremo futuro. Ma è necessario accelerare su una transizione comunitaria, perché il futuro mostra che ci saranno sempre meno beni individuali, e aumenteranno invece i beni comuni.” Conclude così Teneggi il suo intervento: “Il desiderio individuale è alla base dell’impresa di comunità e di un disegno comune. Non ci sarà mondo, né comunità, se non coniugata alla connessione e al futuro generativo. La soluzione all’attesa del lutto è la sorpresa, che la sovrasta. Per dare nuova linfa alle nostre comunità facciamo la nostra scelta: decidiamo di essere sorprendenti.”

Il Social Enterprise Open Camp è ideato e promosso da Fondazione Opes-lcef e Consorzio Nazionale CGM, con il contributo e il supporto strategico di Fondazione CRT, Fondazione Cariplo e  Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del progetto Innovazione per lo sviluppo. Con il contributo di Fondazione De Agostini, Fondazione Snam, Fondazione Marcegaglia Onlus, Fondazione Pietro Pittini, Fondazione Con il Sud, Moleskine Foundation, Gruppo Assimoco, RINA e la collaborazione e con il patrocinio di Comune di Todi.

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