A Todi il sito del nuovo “ascensore verticale” è posto a breve distanza da quello esistente noto come “ascensore inclinato”: i due impianti di risalita sono collegati da un viale pedonale e costituiscono un sistema integrato di accessibilità al centro storico dall’area di Porta Orvietana dove sono presenti le aree di parcheggio a servizio di residenti e turisti, parte esistenti e parte in realizzazione.
La torre che ospita i due ascensori si impianta alle pendici da cui spicca la cinta muraria medievale, o più propriamente quello che ne rimane nell’area dell’antica Porta della Valle, poi soppiantata dal bastione cinquecentesco di Porta Orvietana, scivolata circa 30 metri più a valle nel corso di uno degli eventi franosi che hanno afflitto per secoli il colle di Todi.
Il sito è il risultato di una stratificazione prodottasi storicamente sull’assetto geomorfologico originario, in conseguenza agli smottamenti e ai successivi interventi di rimodellazione del profilo del versante, dove sono state innestate opere di presidio alla sua stabilità in un ciclo di interventi di consolidamento del colle.
L’ubicazione dell’opera, valutata di conseguenza ad una estesa rilevazione topografica e geognostica, cade in una sorta di “nicchia” presente nel profilo del terreno, definita al contorno da elementi di diversa natura: a monte l’incombente bastione della cinta muraria, sul fianco verso la circonvallazione orvietana le terre armate realizzate a consolidamento della pendice, dall’altro il percorso pedonale che dai parcheggi esistenti sale fino alle mura in Via Termoli, in un interessante itinerario attraverso le preesistenze storico-archeologiche, tra le quali emerge il rudere della Porta Orvietana, la cui forza evocativa ha influenzato l’elaborazione concettuale del progetto architettonico.
La prossimità della Porta Orvietana e della Torre eretta per l’approdo degli ascensori alla sommità delle mura appare come una metafora della sfida secolare tra l’ambiente naturale, le complessità e criticità dei luoghi da un lato e dall’altro l’ambizioso e secolare progetto della sua antropizzazione a scopo insediativo: una rappresentazione che va in scena da oltre duemila anni attraverso antiche tecniche ingegneristiche fino alla moderna ingegneria geotecnica.
Non meno simbolico è l’archetipo della porta, in senso spaziale e culturale: luogo di confine tra il paesaggio costruito e quello naturale, luogo di difesa e di esclusione, luogo di accesso e di inclusione, luogo che marca il territorio e rimarca l’appartenenza (o non) di chi lo attraversa, simbologie e suggestioni che il sito esprime e che sono presenti nella ricerca dell’identità di quanto progettato.
Il “Genius Loci” ha guidato il formarsi dell’idea progettuale più di quanto potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale che si fermi alla semplice constatazione della contemporaneità del manufatto: oltre la sua funzione infrastrutturale per il collegamento pedonale tra le pendici e la sommità del colle, oltre la rinnovata sfida dell’ingegneria per il superamento del dislivello e delle avversità geomorfologiche, la sua architettura è un’interpretazione contemporanea di una torre mobile da assedio, una “macchina da guerra” volta invece all’uso della vita civile, una struttura “effimera” seppure molto concreta, capace di adempiere alla sua funzione fornendo l’opportunità della suggestione verso la memoria dei rituali che evoca.
La salita meccanizzata in cabine dotate di pareti trasparenti e l’approdo alle mura attraverso una passerella sospesa a 15 metri di altezza si pongono come un’esperienza sensoriale che completa una breve ma interessante esperienza culturale nella storia semisepolta dell’architettura urbana testimoniata dai ruderi residui che si attraversano lungo il vialetto pedonale: la salita degli ascensori è un’esperienza spaziale verticale che inizia in un basamento “oscuro” e prosegue nella luce delle pareti trasparenti che si attraversano salendo per ventidue metri di altezza, con lo sguardo verso il paesaggio e la città antica, allontanandosi progressivamente dal primo ed avvicinandosi all’altra fino allo sbarco sulla passerella di attracco alle mura, all’apice della cinta difensiva medievale.
La torre è rappresentazione, oltre che funzione: nelle sue proprietà genetiche è narrativa, è metaforica, è la nuova “porta” per la città storica. Nella scelta dei materiali che la caratterizzano architettonicamente si è ricercata un’espressività di linguaggio coerente con la sua attualità. Il basamento è un solido parallelepipedo di pietra, il contrappunto del rudere della Porta Orvietana, di cui è citazione e reinterpretazione contemporanea: la pietra è volutamente ricavata dal “piano cava”, ovvero la scorza superficiale dei giacimenti lapidei e tessuta a lastre in file serrate, perché il suo aspetto evochi la pietra allo stato naturale, costretta in una sagoma geometrica ma, alla vista, più affine a un trovante roccioso che a una muratura organizzata.
Il corpo verticale è un involucro ferroso, opaco e acuminato, tagliato obliquamente, come è obliquo lo spigolo tagliente del bastione della Porta Orvietana traslata e ruotata dopo il suo scivolamento; dal taglio della “corazza” metallica si genera l’involucro trasparente in vetro che mette in vista l’esoscheletro della struttura di acciaio che sostiene la torre per oltre ventisette metri di altezza.
La passerella alla sommità della torre che attracca alle mura è a sua volta una lingua di metallo, appesa alla torre con tiranti di acciaio, secondo uno schema costruttivo antico, in uso nei ponti levatoi per mezzo di grosse catene; insieme al “ferro” scuro e solido della sua struttura, ancora il vetro trasparente dei parapetti, per accentuare la camminata sospesa nel vuoto prima di raggiungere il suolo delle mura urbiche.
La torre degli ascensori verticali è una sintesi coerente di architettura e ingegneria integrate in un unico linguaggio, basato sulla nuda espressività dei materiali e delle tecniche costruttive utilizzate. Lo scheletro di acciaio, pre-composto in moduli in officina, è stato assemblato in opera esclusivamente imbullonato ed affiora attraverso le vetrature marcando l’anima tecnica e tecnologica dell’opera, come parte integrante del suo linguaggio architettonico.
L’involucro verticale, oltre il basamento lapideo, è anch’esso un apparato “meccanico” assemblato in opera sulla struttura primaria, predisposta per accogliere pareti trasparenti e opache. Le pareti opache, costituite da moduli di allumino stratificato e le pareti trasparenti, costituite da lastre di vetro stratificato modularizzate, sono anch’esse frutto di una progettazione tecnica e tecnologica che consentisse di assemblare il manufatto in opera come nel gioco del Meccano, solo ed esclusivamente per imbullonatura.