La giovane regista tuderte Livia Ferracchiati è alla Biennale di Venezia in programma dal 25 luglio al 12 agosto. Livia è una delle nove registe provenienti da Italia, Germania, Francia, Polonia, Olanda e Estonia, scelte dal direttore Antonio Latella per il Festival Internazionale del Teatro.
La Ferracchiati sarà presente con tre suoi spettacoli: ‘Todi is a small town in the center of Italy’, ‘Peter Pan guarda sotto le gonne’ (semifinalista al Premio Scenario) e ‘Stabat Mater’ che, dopo un’anteprima a Milano ad aprile, verrà presentato alla stampa in prima assoluta proprio alla Biennale di Venezia.
Livia Ferracchiati, trentunenne, studi di regia alla Paolo Grassi di Milano dove si è diplomata nel 2014, oltre a una laurea in drammaturgia all’Università La Sapienza di Roma, ha esordito alla regia con ‘Ti auguro un fidanzato come Nanni Moretti’ e ‘Sex Workers’. Sono titoli che tracciano un percorso “a temi”, temi che vengono facilmente mistificati, poco conosciuti, che richiedono anche documentazione, inchieste sul campo.
Todi is a small town in the center of Italy, che verrà prsentato il 2 agosto (Tese dei Soppalchi) è un’indagine sulla provincia italiana, sui limiti che il controllo sociale pone alle libertà individuali. A Venezia si vedranno come detto anche i primi due capitoli della Trilogia sull’identità, un percorso a tappe che racconta l’esperienza della dicotomia fra corpo e mente in fatto di identità di genere, mettendo a fuoco diversi aspetti del disagio di vivere in un corpo che non è percepito come proprio: Peter Pan guarda sotto le gonne il 3 agosto, Tese dei Soppalchi, e Stabat Mater, 4 agosto, Tese dei Soppalchi.
“Quest’anno – dichiara Antonio Latella – l’accostamento di spettacoli, e quindi la creazione di mini-personali, ha evidenziato che soprattutto nelle registe donne è più facile, anche in un breve tempo, intravedere la nascita, o meglio, l’evoluzione dei linguaggi, e ovviamente questo ci ha stimolato a dare, per questa nostra prima Biennale, per questa nostra apertura di porte su un quadriennio, il passo di entrata alle registe donne. Molte di loro capaci di evolvere con grande naturalezza, ma al contempo con profondo senso critico, l’unione dei linguaggi che fanno da ponte tra il secolo scorso e questo. È proprio nella concentrazione di una ricerca del linguaggio che, soprattutto nelle registe donne, abbiamo riscontrato un’esigenza, una necessità mai gratuita, mai legata a un bisogno puramente carrieristico o di affermazione, ma da una sincera urgenza creativa”.