Una bella notizia per l’Italia dopo il trauma “nazionale” di calcio.
Se nel gioco del pallone siamo scesi sotto la Slovacchia, Paraguay e Nuova Zelanda, in un’altra classifica l’Italia ha “conquistato” due posizioni all’insù e si appaiata alla Francia con cui ha condiviso la delusione sud africana.
Purtroppo anche in questo caso sovvertendo le previsioni e le promesse della vigilia fatte dal “Lippi di turno”.
Dai dati sui conti pubblici nel 2009 diffusi dall’Istat, il nostro sistema risulta aver scalato la classifica europea (Ue-27) per la pressione fiscale: nel 2009 il peso del fisco sul prodotto interno lordo è stato del 43,2%, in aumento rispetto al 2008.
L’Italia si colloca così al quinto posto, insieme alla Francia, in Europa per pressione fiscale. Nel 2008 era al settimo posto.
Per tornare ad una pressione fiscale più alta in Italia, bisogna tornare indietro al 1997, l’anno dell’Eurotassa (ma nel 2007 la pressione del fisco era stata comunque pari al 43,1%). A pesare una diminuzione del Pil maggiore della diminuzione delle entrate.
Peggio di noi e dei cugini d’oltralpe: Danimarca (49%), Svezia (47,8%), Belgio (45,3%), Austria (43,8%).
Nell’ Eurozona la pressione fiscale sul pil è calata al 39,7% rispetto al 40,4% nel 2008.Questo secondo Eurostat.
Nel 2008, oltre a questi Paesi, ad avere una pressione fiscale più alta dell’Italia c’erano anche la Finlandia e la Francia.
Protagonisti del miglioramento i soliti "faticatori" del centrocampo.
Nel 2008 era, infatti, in Italia la media più alta della tassa implicita sul lavoro (42,8%) seguita dal Belgio (42,6%) e Ungheria (42,4%).
Tasso implicito più basso, tra i paesi medi della Ue, in Irlanda (24,6%).
Secondo l’ufficio statistico di Bruxelles, poi, per quanto riguarda l’imposizione fiscale sulle società, l’Italia fa registrare nel 2010 il 31,4% contro una media Ue del 23,2%, pari al 9,9% in meno rispetto al 2000.
Ma c’è anche chi sostiene che l’Italia i Campionati europei li ha già vinti e non lo si vuole far sapere per paura che i "centrocampisti" alzino troppo la cresta.
Infatti, l’ufficio studi del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ribadisce che l’ Italia non è ne’ quinta, ne’ settima, ma sempre e invariabilmente prima o quanto meno sul podio, se si considera il dato della pressione fiscale riferito al PIL depurato dalla componente di economia sommersa stimata, ossia di economia che, per definizione, le tasse non le paga.
In realta’, i commercialisti sottolineano come, se si considera la pressione fiscale sulla sola componente del PIL che le imposte le paga per davvero, ossia sulla componente depurata della quota stimata di economia sommersa, si vede chiaramente come la pressione fiscale ”reale” in Italia sia assai superiore: 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008.
L’ufficio studi dei commercialisti, che monitora il dato della pressione fiscale ”reale” dal 2000, rileva come quello del 2009 sia un record negativo assoluto.
La pressione fiscale ”reale” era infatti al 51,0% del 2007; al 50,0% nel 2006; 48,7% nel 2005; 49,0% nel 2004; 50,2% nel 2003; 49,8% nel 2002; 51,1% nel 2001; 51,2% nel 2000.
Anche depurando i dati del PIL degli altri Paesi della componente di sommerso stimata, le elaborazioni dei commercialisti dimostrano come per tutti gli anni di osservazione si arriva ad una situazione per la quale l’Italia si colloca al primo posto, o comunque entro i primi tre posti, della classifica europea dei Paesi con la maggiore pressione fiscale.
”Questo perche’ – spiega Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili – la componente di economia sommersa stimata in Italia e’ percentualmente piu’ rilevante di quella di tutti gli altri Paesi europei, esclusa la sola Grecia.
Anche gli artigiani della Cgia di Mestre ricordano che la pressione tributaria «reale» è stata lo scorso anno addirittura vicina al 52%. Un dato, rileva il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, che supera di quasi 9 punti quello ufficiale presentato dall’Istat, del 43,2%.
Al 52% – sostiene la Cgia – si arriva effettuando lo storno dal Pil 2009 (1.520,8 mld di euro) dell’economia sommersa (tra 231,9 e 255,9 miliardi di euro), che l’Eurostat impone di includere nei sistemi di contabilità dei Paesi europei. .