Accompagnata da qualche polemica si è inaugurata recentemente a Palazzo Ducale di Urbino la mostra “Magnifica Ceramica” che espone la collezione di ceramiche antiche e rinascimentali di Mario e Rosvilde del Prete.
La polemica è sorta per il mancato accordo con i musei civici di Pesaro cui i collezionisti avrebbero voluto donare la collezione, prima di rivolgersi al municipio di Urbino che ha, per il momento, ospitato la mostra.
Benché la vicenda susciti già di per sé interesse poiché ripropone, come è stato sottolineato da Philippe Daverio nella cerimonia di inaugurazione, la questione attualissima del rapporto tra iniziativa privata e politiche museali pubbliche, la nostra attenzione si è maggiormente rivolta alle opere in mostra e, in particolare, al nucleo umbro compreso nella sezione rinascimentale.
Dei sessantasette esemplari, tra cui diversi pregevoli istoriati urbinati e durantini, una decina sono infatti assegnati dal curatore Claudio Paolinelli, a botteghe umbre.
Si segnalano, in particolare, quattro lustri eugubini della bottega di Mastro Giorgio Andreoli e dintorni: un piatto istoriato con scene del mito di Apollo e Marsia, datato 1539 e forse condiviso con qualche bottega urbinate; una coppa attribuita a Vittorio Floris detto il Prestino per via della ‘P’ segnata sul retro ed altre due siglate con una ‘N’ ritenuta, con qualche dubbio, la cifra di Vincenzo figlio dell’Andreoli.
La collaborazione con Urbino, da un lato, e dall’altro le similitudini decorative e di soggetti con la produzione derutese, particolarmente evidenti nelle opere attribuite a Vincenzo, rinvia a ulteriori approfondimenti della ricerca storico-ceramologica – già ripresa lo scorso anno con la mostra di Gubbio “La via della ceramica tra Umbria e Marche” a cura di Ettore Sannipoli- che esplori i rapporti, gli scambi e le reciproche influenze tra le officine eugubine con quelle metaurensi e, sul versante occidentale, con l’area perugina,
Tra le maioliche derutesi, invece, un’alzata seicentesca a lustro dorato ripropone uno dei tanti enigmi della ceramica italiana.
Quello della sopravvivenza oltre tempo della produzione di lustri che si riaccende, quasi inspiegabilmente, nel Seicento a distanza di un secolo e mezzo dalle precoci manifestazioni della fine del Quattrocento quando i vasai derutesi ne appresero, per vie altrettanto misteriose, le tecniche.
Lontani i modelli di Perugino e Pinturicchio, cui i derutesi all’epoca si ispiravano, il lustro resta come preziosa decorazione in oro su bianco.
L’analogia con le più diffuse versioni policrome conferma senza dubbio la cronologia dell’alzata, ma potrebbe restituire un riferimento cronologico più accurato alla storiografia ceramologica l’attribuzione dello stemma centrale che Paolinelli assegna ai Ruffo di Napoli.
Parimenti, sarebbe utile identificare lo stemma di un albarello farmaceutico siglato G.B., da raffrontare con due esemplari analoghi della metà del XVI secolo nel Museo del Vino di Torgiano e uno nel Museo della Ceramica di Deruta.
Infine, singolare e di notevole interesse, una importante saliera da tavola seicentesca con stemma dei Feralmi di Subbiano, famiglia di antica nobiltà insediatasi nei dintorni di Arezzo, da attribuire a Deruta per le analogie con la coeva produzione.
Questa e le altre opere plastiche di fabbrica urbinate presenti nella collezione Del Prete rappresentano a nostro parere le opere più originali che sollecitano di rimediare alla scarsità di studi su questa tipologia.
Un catalogo illustrato curato da Claudio Paolinelli e da Claudia Cardinali dell’Università di Urbino, con le prefazioni di Timothy Wilson e di Jean-Jacques Maffre accompagna la mostra che si propone perciò come uno degli eventi più significativi per la cultura ceramica di questo scorcio d’estate.