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Tanti misteri ulteriori emergono dopo il ritrovamento del cadavere di Marco Massinelli a Fiorenzuola; intercettati al confine due dei rapinatori-Assassini di Ramazzano
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Dolore e soddisfazione oggi in Umbria per due notizie di segno opposto.
Grande dolore e molti dubbi dopo che è stato ritrovato il cadavere del maresciallo dei carabinieri, Marco Massinelli, 26 anni, di Castiglione del Lago, in servizio alla stazione di Pegognaga (Mantova).

I dubbi sorgono subito sapendo che il corpo era a Firenzuola, località del fiorentino molto lontana dall’uscita dell’autostrada da cui l’auto del maresciallo risulta transitata sulla strada di Pegognaga la mattina di martedì 6 marzo alle 3.10.
Questa registrazione sembra far cadere ogni ipotesi di suicidio e rendere più probabile che altri abbiano guidato la sua auto dopo la morte del militare.

Peraltro il fatto che il suo profilo su Facebook risulta modificato alle 4.25 successive farebbe pensare che ad operare fosse lui stesso o qualcuno che lo conosceva molto, molto bene. Ma resta il mistero del tornare indietro fino a Fiorenzuola. Delle due quindi o il maresciallo era già morto alle 3.10 e qualcuno altro guidava la sua auto o è morto dopo le 4.25 sulla strada che tornava a sud, ma perché?, o qualcuno l’ha riportato indietro, per depistare?.
La definizione dell’ora della morte sarà quindi fondamentale per l’ulteriore sviluppo delle indagini, ma tutto lascia pensare che dietro non ci sia una sola persona.

Si avvia a conclusione, invece, la vicenda delle ultime due rapine in Umbria, con violenza ed omicidio, che sono risultate, come appariva chiaro sin dall’inizio, compiute dalla medesima banda, che pure dopo l’arresto del palo si sentiva, nella maggioranza dei latitanti, più sicura in Italia che non nel loro paese.
Due di quelli che hanno, nella convinzione degli inquirenti, partecipato sia alla rapina di Pietramelia-Resina, in cui è stata stuprata una donna di 54 anni, che a quella di Ramazzano dove è stato giustiziato Luca Rosi, stavano tornando come normali “frontalieri” in Italia, verso la provincia di Vercelli in cui risultano domiciliati.

C’è un terzo identificato ancora da prendere, oltre a Iulian Ghiorghita, 31 anni, e Aurel Rosu, 20
anni che, tornati in Romania  hanno pensato che lì le condizioni di detenzione sono peggiori che in Italia ed avuto sentore che la polizia del loro paese li avrebbe presto presi sulla base delle indicazioni arrivate dall’Italia, hanno cercato di raggiungere la zona dopo probabilmente hanno più appoggi.

Poco dopo il confine italo-sloveno di Gorizia due carabinieri in borghese si sono avvicinati al pulmino dei migranti che stava effettuando una sosta sul percorso diretto a Venezia, Padova e da lì verso la Lombardia ed il Piemonte e per due delle “belve” la latitanza è finita, lì hanno portati a Perugia dove dovranno rispondere di rapina aggravata, sequestro di persona, violenza sessuale, porto ed uso abusivo di armi ed omicidio pluriaggravato.

Quanti hanno partecipato alla caccia: il pool di magistrati Antonella Duchini, Mario Formisano e Giuseppe Petrazzini, coordinati dal procuratore Giacomo Fumu; i carabinieri del reparto operativo comandati dal colonnello Pierugo Todini, del nucleo investigativo del capitano Giovanni Rizzo; i carabinieri della compagnia di Perugia guidata dal maggiore Giovanni Cuccurullo, quelli del Ros del capitano Goffredo Rossi e  del Reparto crimini violenti, del  colonnello Vincenzo Molinese; il comandante Angelo Cuneo hanno ora il compito di raggiungere la terza bestia ed altri avranno il compito di custodire i tre in gabbia, perché per loro la strada per il processo sarà lunga e pericolosa.

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