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Dai due rapporti, tra i molti dati, emerge che l'Italia è al penultimo posto in Europa per occupazione femminile

L’ultimo rapporto di Eurostat, che fotografa l’occupazione nel 2006 nei paesi Ue, ha rilevato che l’Italia è al penultimo posto in Europa per occupazione femminile e non sta molto meglio neppure per tasso di occupazione generale.
Secondo l’ufficio statistico dell’Ue, in Italia il tasso di occupazione femminile nel 2006, nella fascia d’età 15-64 anni, é stato del 46,3%. Un valore superiore solo a quello di Malta (34,9%), fanalino di coda di una classifica che vede in testa Danimarca (73,4%), Svezia (70,7%) e Olanda (67,7%).
La media europea è pari al 57,2%, in crescita rispetto al 56% del 2005. La donna però dedica in media 16 ore a settimana alla faccende domestiche, un uomo poco più di due. Un divario che accomuna, con piccole variazioni, tutti i Paesi dell’Unione e che lo stesso rapporto considera come uno dei tanti fattori che poi sono causa del divario tra i salari degli uomini e delle donne in Europa.
Secondo l’analisi, presentata dal commissario Ue per le pari opportunità Vladimir Spidla, le donne continuano a guadagnare in media il 15% in meno rispetto agli uomini (17% dieci anni fa), nonostante abbiano un’educazione secondaria superiore (il 59% tra i diplomati universitari in Europa). Ma le carriere in gonnella rendono di meno, sono più frammentate e finiscono prima per colpa delle responsabilità familiari.
A determinare lo scarto salariale, anche la natura dell’occupazione: le donne manager sono il 32% del totale, contro il 68% maschile e più in generale è il settore finanziario a registrare il divario maggiore tra i due sessi in relazione agli stipendi percepiti. E’ ristretto anche il numero delle professioni al femminile: quattro donne su dieci in Europa lavorano nei settori della sanità, dell’educazione e della pubblica amministrazione contro il 20% degli uomini.
Va appena un po’ meglio, agli italiani, se si considera la tendenza del tasso di occupazione generale. Il rapporto Eurostat registra una crescita del tasso di occupazione generale in Europa, sempre nella fascia d’età 15-64 anni: 64,4% nel 2006 rispetto al 63,4% dell’anno precedente.
L’Italia occupa il 24/mo posto nella graduatoria, con un valore pari al 58,4%, davanti a Ungheria (57,3%), Malta (54,8%) e Polonia (54,5%). In questo ambito, 20 Paesi Ue su 27 sono al di sopra del 60%; in testa Danimarca (77,4%), Olanda (74,3%) e Svezia (73,1%).
Cresce in Europa pure il tasso di occupazione relativo alla fascia d’età 55-64 anni: 43,5% nel 2006, contro il 42,2% del 2005. L’Italia occupa anche qui il 24/mo posto tra i 27 Paesi dell’Ue, con un valore pari al 32,5%, davanti a Belgio (32%), Malta (30%) e Polonia (28,1%).
E’ tenendo presenti questi raffronti che vanno lette le considerazioni del CNEL sulla situazione italiana “Crescita dell’occupazione record nel 2006 ma per il 2007 le prospettive appaiono molto meno rosee”.
Nel Rapporto sul mercato del lavoro 2006 presentato oggi il Cnel sottolinea come a fronte di un aumento di 425.000 occupati registrato l’anno scorso quest’anno si segnali una frenata sia per le forze di lavoro che per la nuova occupazione. In particolare nel primo trimestre 2007 si registra una caduta delle forze di lavoro al Sud (-3,6%), trainata soprattutto dal calo della forza lavoro femminile (-4,6%).
Il Cnel segnala che la riduzione del tasso di attività nel Mezzogiorno è dovuto in parte all’effetto scoraggiamento (di fronte alla scarsa domanda di lavoro le persone rinunciano direttamente a proporsi sul mercato) ma anche a un nuovo fenomeno migratorio, soprattutto dei giovani, alla ricerca di lavoro verso il Nord.
Nel Rapporto si ricorda come l’anno scorso la disoccupazione sia scesa a livelli che non si registravano più dai primi anni Ottanta (nel 2006 era al 6,8% rispetto al 7,7% del 2005) . Il Cnel segnala inoltre come la crescita dell’occupazione si sia concentrata “tutta nelle imprese fino a 50 dipendenti mentre le grandi imprese hanno ancora registrato decrementi dei livelli occupazionali” e come i lavoratori atipici siano poco più di tre milioni.
La diffusione dei contratti a termine comunque, pur in crescita tra i giovani, resta – si legge nel Rapporto – “inferiore a quella degli altri Paesi”. Oltre un terzo delle assunzioni a tempo indeterminato del 2006 infatti riguardano persone che l’anno prima avevano un contratto a termine. E’ aumentata la probabilità di trovare lavoro per i disoccupati ma anche la probabilità di perdere il lavoro per coloro che hanno un contratto “atipico”.

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