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Una indagine della Coldiretti segnala vistose diminuzioni delle quantità acquistate anche se il valore della spesa è rimasta invariata

Il “giro di vita” troppo largo di cui parliamo in un altro articolo odierno potrebbe avere i giorni contati.
Quel 40% di italiani che sono poveri o si sentono poveri hanno preso le loro contromisure per fronteggiare il caro vita e l’insufficienza delle retribuzioni.
Hanno cambiato le abitudini alimentari principalmente variando il menù della spesa (il 40% in modo drastico), aumentando l’attenzione riposta nella lettura dell’etichetta e prestando più attenzione alla provenienza dei cibi a favore di quelli locali.
È quanto afferma la Coldiretti in riferimento alla diffusione dei dati Istat relativi all’andamento dell’inflazione a dicembre, sulla base dell’Indagine 2007 Coldiretti-swg. Se complessivamente la spesa alimentare è rimasta invariata (+ 0,1%) le quantità portate a casa dalle famiglie per effetto dell’aumento dei prezzi si sono ridotte dell’1,3%.
Tra gli spostamenti più significativi si registra un calo nei consumi di pane (-7%), pasta di semola (-4,3%), latte fresco (-2,2%), formaggi (-0,4%), vino (-8,4%), frutta (-2,6%), verdura (-2,6%), olio di semi (-5,9%), carne bovina (-4%) e suina  (-4,6%), mentre aumenta la carne di pollo (+ 6,2%), le uova (+ 5,3%), yogurt (+ 4,2%), l’acqua (+1%) e l’olio extravergine (+1,8%), secondo le stime elaborate dalla Coldiretti su dati Ismea Ac Nielsen relativi ai primi nove mesi del 2007.
Gli italiani – sottolinea la Coldiretti – si sono rifugiati negli alimenti prodotti nella zona in cui vivono con il 97% che ha consumato prodotti locali e 2 italiani su 3 che lo hanno fatto con regolarità, anche perchè si tratta di alimenti il cui costo non è stato influenzato dal caro petrolio che ha fatto aumentare il costo di benzina e gasolio necessario per i trasporti.
Secondo lo studio della Coldiretti dei circa 467 euro al mese che ogni famiglia ha destinato per gli acquisti di alimenti e bevande, oltre la metà, per un valore di ben 238 euro (51), va al commercio e ai servizi, 140 (30%) all’industria alimentare e solo 89 (19%) alle imprese agricole.

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