La morte di Barbara Cicioni ha aperto una ferita difficile da rimarginare ed ha messo in luce come la violenza sulle donne sia un problema reale. A riguardo il 4 giugno si è svolto a Marsciano un Consiglio comunale aperto che ha visto la partecipazione di una larga rappresentanza delle istituzioni e di molti cittadini.
La comunità locale si è scoperta indifesa, diffidente, dubbiosa, spaventata per un fatto che non ha precedenti. Il sindaco Chiacchieroni, in un’appassionata invettiva, sbattendo le mani sul tavolo, ha affermato che la violenza sulle donne è una vera e propria patologia sociale. Anche la presidente della Regione Lorenzetti ha espresso parole di cordoglio per la morte di Barbara e per il silenzio assordante in cui era stata lasciata la vittima. Interventi si sono alternati per tutta la sera, con i cittadini che, investiti dalla carica emotiva, hanno accompagnato con applausi le parole più sentite.
Ma si può fare realmente qualcosa di concreto per evitare che una simile violenza possa ripetersi e colpire, come spesso accade, altre donne? Possono bastare incontri volti alla sensibilizzazione verso il problema? A che serve un maggiore pattugliamento delle forze dell’ordine quando ci troviamo di fronte a violenze che si consumano nel silenzio assordante delle quattro mura di casa?
Daniela Albanesi, presidente del centro regionale per le pari opportunità, ha cercato di dare una risposta a queste domande, pubblicizzando un servizio che rappresenta un sostegno per le numerose vittime di violenza. “Telefono Donna” offre ascolto e accoglienza alle donne che subiscono maltrattamenti e abusi. Dai dati forniti dal servizio emerge che nella nostra regione la violenza sulle donne è un fenomeno diffuso – manifestandosi sotto varie forme: fisica, psicologica, economica, sessuale – e trasversale: non è riconducibile a particolari fattori sociali, né economici, razziali o religiosi.
Almeno il 70% delle donne è vittima del partner; l’età più a rischio va dai 16 ai 44 anni. “Telefono Donna”, attivo dal 1989, ha dato, da allora al dicembre del 2004, consulenze legali a 3.275 donne e consulenze psicologiche per 4.400 casi. Nel 72% delle volte la richiesta è avvenuta a causa di percosse, maltrattamenti e abusi subìti in ambito familiare. Solo nel biennio 2003-2004 tale servizio sociale, nelle sedi di Perugia e Terni, ha svolto 600 consulenze, attivando percorsi di uscita dalla violenza per 145 donne. Questi i dati di chi parla, ma è noto che sono molti i casi che non vengono alla luce perché le donne hanno difficoltà a denunciare le umiliazioni che subiscono per vergogna o per la paura che la violenza si ripeta. Annientando così l’autostima e l’autonomia, per timore del giudizio della collettività, perché ancora oggi sembra esistere culturalmente una legittimazione alla violenza perpetrata ai loro danni, perchè il clima omertoso, silenzioso e trito di luoghi comuni mina alla base ogni speranza di salvezza.
Si auspica che alle analisi seguano fatti, che le donne vengano incoraggiate a rendere pubblici i soprusi e che abbiano la possibilità reale di vedere tutelati i propri diritti. Perché su quanto è successo a Barbara tutti hanno parlato, meno le tristi protagoniste che quotidianamente soffrono maltrattamenti e violenze.
- Redazione
- 7 Giugno 2007
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