Una indagine ridimensiona il presunto “razzismo” degli italiani e riconduce l’ostilità di qualcuno non alla razza o alla religione degli immigrati, ma solo alla temporanea diversità comportamentale di essi. Si può dare questa lettura ad uno studio commissionato dal Viminale a Makno & Consultino, che si è svolto nei primi mesi dell’anno su un campione di duemila interviste a immigrati e mille a italiani.
I connazionali sono tutti d’accordo sul riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini che nascono qui con almeno un genitore immigrato regolare da più di 5 anni. In definitiva si conta sul fatto che i nuovi nati acquisiscano presto e prima dei loro genitori abitudini ed atteggiamenti sociali più conformi alle abitudini del luogo.
D’altro canto l’85% degli immigrati si trova bene in Italia (molto bene un 24%), tre su quattro lavorano, il 50% ha un conto corrente e il 93% un telefonino, mandano a casa quasi 300 euro al mese. Ma solo il 55% degli immigrati è interessato alla cittadinanza italiana. Alcuni temono di perdere i beni che posseggono nel Paese d’origine, “sanzione” prevista da molte legislazioni nazionali per chi decide di cambiare passaporto. Per altri il soggiorno in Italia è temporaneo: per gli albanesi è solo un trampolino verso gli Stati Uniti, per le badanti ucraine il sogno è tornare a casa.
E sulla proposta Amato-Ferrero, di cittadinanza dopo cinque anni, dicono: “Come faccio a sapere se voglio restare in Italia dopo soli cinque anni?”.
- Redazione
- 26 Luglio 2007
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