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Le conseguenze mortali per l'uomo sono in diminuzione, ma è bene seguire alcune semplici regole

In Italia, al 2 agosto 2007, sono caduti dall’inizio dell’anno oltre 578 mila fulmini; si tratta, quindi, di un fenomeno atmosferico ben presente nel nostro Paese e che negli ultimi 30 anni ha provocato 600 decessi, in maggioranza uomini (80,3%), la cui età media supera di poco i 40 anni.
Fortunatamente l’evento non è così frequente e, anzi, si è notevolmente ridotto nel tempo: basti pensare che all’inizio degli anni Settanta morivano mediamente 40-45 persone l’anno contro le 7-10 degli ultimi anni.
Tra le ragioni di questo calo, sono sicuramente da menzionare: una maggiore protezione degli edifici mediante opportuni dispositivi (parafulmini, ecc.), una maggiore diffusione delle conoscenze di base relativamente ad alcuni comportamenti a rischio da evitare, un significativo miglioramento della medicina e dell’efficienza dei servizi.
Si pensi, ad esempio, al fatto che molte ustioni gravi una volta avevano esito mortale, mentre oggi, grazie ai progressi delle tecniche di ricostruzione dei tessuti, i tassi di mortalità per ustione si sono più che dimezzati.
Vi è poi da considerare anche un certo spopolamento di zone montane e di campagna dove una volta si contavano molti incidenti tra agricoltori e pastori.
E’ ovvio, infatti, che sia proprio la montagna, dove si addensano nubi temporalesche, una delle zone più a rischio. Le altre sono spiagge, mare, campi aperti, alberi isolati.
Prendendo in considerazione gli anni dal 1969 al 1973, le province che registravano il maggior numero di decessi erano localizzate al nord, in Piemonte (essenzialmente Torino e Cuneo), e al sud in un’area compresa tra Campania, Calabria, Basilicata e Puglia.
Nel quinquennio 1998-2002 i territori più colpiti sono state le province di Bolzano e Trento, le uniche, tra l’altro, che hanno visto incrementare il numero dei decessi in maniera significativa.

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