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L'accoppiamento ritenuto "impossibile" riuscito a ricercatori di Viterbo; una carta di riserva nel caso dell'estensione della desertificazione

Dopo i successi nella lotta contro la desertificazioni del marscianese Venanzio Vallerani, a far crescere una foresta nel deserto ci sono riusciti una squadra di scienziati dell’Università della Tuscia e dell’Università di Tel Aviv. I ricercatori sono riusciti a creare in poco più di 18 mesi una foresta con alberi di altezza media di 5 metri nel pieno del deserto del Negev, irrigata con acqua di scarto.
”L’esperimento ha dimostrato come sia possibile anche nei deserti produrre in poco tempo quantità enormi di biomassa – ha spiegato all’Ansa, Riccardo Valentini, ecologo e direttore del dipartimento di Scienze dell’ambiente forestale e delle sue risorse dell’Università della Tuscia – sfruttando l’energia solare per la fotosintesi, largamente abbondante in questi luoghi, a patto di poter disporre di acqua, in questo caso salina o riciclata dalle citta”’.
Il deserto del Negev  è una distesa arida di sabbia e roccia che si estende per circa 13.000 chilometri quadrati, quasi il 70% del territorio israeliano.
Il progetto nasce con la scoperta di piante (tamerici) del Mar Morto in grado di assorbire il sale in eccesso nel suolo e di trasportarlo fino alle foglie dove viene accumulato sotto forma di cristalli di sale, bonificando quindi il terreno.
L’area della sperimentazione dove sono state piantate le tamerici è di 5 ettari, irrigate con acqua proveniente da pozzi di acqua salmastra, inutilizzabile sia come acqua potabile che per l’agricoltura.
”Le piante sono alte più di 5 metri e formano una fitto bosco – spiega Valentini – e la biomassa è di circa 50 tonnellate per ettaro. Qui sono tornati a nidificare uccelli e piccoli mammiferi, creando una oasi di verde circondata da uno dei deserti tra i più aridi del mondo”.
Un altro esperimento è stato quello di usare l’acqua di riciclo proveniente dalla città di Eilat, trasportata con una conduttura di oltre 40 km nel deserto. ”L’acqua riciclata – afferma il docente dell’Università della Tuscia – viene trattata biologicamente per il filtraggio e poi distribuita per usi agricoli.
Anche in questo caso i risultati sono stati straordinari”.
Il progetto ha avuto tanto successo da essere al via anche in Algeria. ”Anche in Italia – conclude Valentini – il riciclo delle acque urbane (attualmente filtrate ed immesse nei corsi d’acqua, spesso con problemi di inquinamento) potrebbe essere una fonte alternativa di acqua che ridurrebbe la pressione dell’agricoltura (circa il 70% dei prelievi) sulla disponibilità idrica del Paese”.

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