Emigrarono in quasi 10 mila per mancanza di lavoro, per considerazioni negative sulla situazione economico-politica, per stanchezza dell’arretrata condizione contadina di allora, o per semplice spirito di avventura e volontà di migliorarsi.
Gran parte del flusso si concentrò nell’immediato secondo dopoguerra, dal 1946 al 1955, proveniente soprattutto da Città di Castello, Perugia e Terni, poi dall’Eugubino Gualdese e dalla Valle Umbra. Solo dalla Valnerina non partì nessuno.
Si disegna così il quadro dell’emigrazione umbra in Argentina, secondo una ricerca, promossa dall’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea (Isuc), e dedicata a “L’ultima emigrazione italiana in Argentina: il caso degli umbri a Buenos Aires”.
La ricerca si è basata su una rilevazione – ha spiegato il direttore dell’“Isuc” Alberto Sorbini – effettuata su un campione rappresentativo di 306 famiglie di origine umbra, in tutto 783 persone nell’area che comprende la città autonoma di Buenos Aires e le località circostanti, quella che viene chiamata la “Grande Buenos Aires”.
Ad essere intervistate sono state le famiglie in cui vive almeno un immigrante o una persona di origine umbra, principalmente i “superstiti” del grande flusso migratorio, persone ormai anziane e delle quali, comunque, nessuna ormai ha meno di cinquant’anni.
“Questa ricerca fa fare un salto di qualità al dibattito sull’emigrazione – ha detto Pavilio Lupini, presidente del Consiglio Regionale Umbra dell’Emigrazione – nella misura in cui accompagna ai dati una indagine sulle motivazioni e le passioni di chi decise di lasciare la propria terra per emigrare in un paese lontano. Oggi – ha aggiunto Lupini – il problema dell’emigrazione non è più una questione di nostalgia, ma di costruzione di un nuovo rapporto solidale con il paese di origine, che crei qualcosa di nuovo, anche a livello economico. È una proposta – ha concluso – per colorare di ‘locale’ le strategie della globalizzazione”.
- Redazione
- 15 Dicembre 2007
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