La magistratura ha in mano la chiave per ridurre alla ragione chi inquina l’aria (e i casi nel territorio non mancano), almeno stando alle lamentele a cui abbiamo più volte dato voce, in particolare a Todi dove si è arrivati ad addebitare le puzze a fantomatici “draghi volanti”.
Una sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto le “molestie olfattive” su scala industriale come reato di “gettito di cose pericolose”.
Se dunque non si riesce a capire cosa effettivamente sia la “puzza di drago”, c’è un’altra strada che non richiede lunghi e dispendiosi accertamenti. E’ un po’ come la vicenda di Al Capone, il quale, immune da ogni accusa di essere un criminale, finì in prigione per un piccolo insignificante reato: l’evasione.
La sentenza della Cassazione non è rimasta isolata: pure il Tar della Toscana (sentenza n. 276/2008) ha riconosciuto in qualche modo che l’inquinamento olfattivo deve considerarsi una forma di inquinamento che può causare pesanti disagi per la qualità della vita e che, pertanto, necessita di regolamentazione come forma di inquinamento atmosferico.
Lo svolgimento dei fatti, che hanno portato alla sentenza, individua esattamente chi e come può porre rimedio alle puzze, costituendo un’arma in più per gli organismi tecnici che si stanno impegnando, tra mille difficoltà, a risolvere il mistero, per la cui soluzione c’è bisogno anche di una puntuale collaborazione della popolazione, in termini di registrazione e segnalazione puntuale dei fenomeni rilevati, onde poter restringere l’attenzione ad ipotesi ben definite e limitate.
La vicenda della sentenza nasce dalle innumerevoli denunce (che si sono succedute negli anni) da parte di cittadini abitanti in prossimità di una fabbrica toscana e quindi sottoposti a pesanti “disagi” olfattivi.
Tali sollecitazioni hanno indotto il Servizio Subprovinciale Arpat del Mugello-Piana di Sesto a effettuare numerosi sopralluoghi. Successivamente, attraverso alcune applicazioni modellistiche elaborate dalla AF Modellistica Previsionale del Dipartimento Arpat di Firenze, è stato individuato il limite alle emissioni olfattive posto in autorizzazione, considerato legittimo dal Tribunale amministrativo regionale nonostante il ricorso della fabbrica “puzzolente”.
Il Tar ha ritenuto insufficienti le tesi dell’azienda che miravano ad inficiare l’approccio scientifico del metodo che aveva condotto all’individuazione del limite stesso. Inoltre tutte le prescrizioni che imponevano delle soglie alle emissioni sono state ritenute scientificamente coerenti e scaturite da una approfondita istruttoria.