Si ipotizzano scenari tremendi se la direzione della ” mega” ( per il concetto umbro) Usl starà qui o lì, senza considerare che comunque starà lontana dai servizi: anche di quelli sotto casa a cui potrà dare un occhio una volta ogni tanto ( ma forse interessa solamente che questa direzione sia a portata di mano del ras politico locale)
Ci si scanna per un simulacro ( quale sarà) di ente provinciale le cui attuali sedi il 90% dei cittadini neppure sa dove stanno.
L’impressione è che, con una tattica collaudata, si alzino polveroni per nascondere la dura realtà quotidiana di fronte alla quale coloro che si agitano nulla, e non sempre per colpa del destino cinico e baro, possono fare.
Ora anche il consigliere regionale del Partito democratico Fausto Galanello interviene sulle ipotesi di riassetto territoriale evidenziando che “quando in un passaggio difficile come quello che sta oggi interessando il Paese a rischio di default, tornano a prevalere in questa Regione logiche territoriali e campanilismi di vario genere, richiami storici dei millenni trascorsi viene naturale dire che si è fatta l’Umbria ma 40 anni non sono bastati per costruire e sedimentare una coscienza e una cultura regionale”.
Per Galanello bisogna fare di tutto “per provare a salvare il salvabile” ma senza perdere “questa rara occasione per guardare avanti con idee e strategie nuove, su cui ricostruire la speranza e la fiducia degli umbri ed in particolare delle nuove generazioni”.
Il consigliere regionale del Partito democratico afferma che, prima ancora di definire il numero di Asl, Province e Unioni speciali, ritiene prioritario l’impegno delle forze politiche e istituzionali per l’elaborazione di politiche, idee e proposte per fronteggiare la crisi e per realizzare un equilibrato sviluppo dell’Umbria aprendo una nuova fase del regionalismo.
Eppure, quando in un passaggio difficile come quello che sta oggi interessando il Paese a rischio di default, tornano a prevalere in questa Regione logiche territoriali e campanilismi di vario genere, richiami storici dei millenni trascorsi (dalla Sabina alla Tuscia, dal Granducato di Spoleto a quello di Siena e allo Stato Pontificio) viene naturale dire che si è fatta l’Umbria ma 40 anni non sono bastati per costruire e sedimentare una coscienza e una cultura regionale”.
Il consigliere regionale del Pd evidenzia che “alla fine hanno prevalso logiche di forza tra le maggiori città: Perugia, Terni e Foligno in rincorsa, che hanno segnato e condizionato ogni passaggio fondamentale delle politiche regionali giocando più sul tavolo della competizione che non su quello della coesione e dello sviluppo equilibrato dell’intera Regione.
Il rischio per l’oggi ed il futuro è che si continui su questa strada, che il nuovo regionalismo, ammesso che si sopravviva, non sia il frutto di scelte politiche e programmatiche ma ciò che rimane di un confronto scontro tra città aree e territori, come sta accadendo per il destino della Provincia di Terni, per le Asl e per le nascenti Unioni speciali dei Comuni.
Proprio la riforma delle Unioni speciali dei Comuni – continua – nella sua concezione iniziale delle 12 unioni tra aree territoriali omogenee, escludendo le due maggiori città di Terni e di Perugia, avrebbe segnato un passaggio fortemente innovativo sul piano della razionalizzazione e dell’organizzazione del sistema endoregionale: agenzie ed ambiti unici regionali per le politiche di area vasta e Unioni dei Comuni per le funzioni associate.
Insomma un cambio di passo, una nuova geografia politico-istituzionale per la rimessa in gioco dell’Umbria delle città e dei territori con le loro specificità ed il potenziale apporto ad una idea di Regione fondata sulla ricchezza delle diversità culturali, sociali ed economiche che affondano le radici in relazioni storiche e funzioni attuali di cerniera e sinergia con territori confinanti delle regioni circostanti.
Che senso ha invece il nuovo percorso incentrato su 3 Unioni speciali allargate che ruotano intorno ai 3 maggiori centri dell’Umbria e prima ancora di capire che fine si fa con la questione Province ed Asl?” .
Ma non avrebbe più senso allora puntare ad una idea nuova dell’Umbria che, superate entrambe le province, si riorganizza in 5/6 Aree vaste? Una nuova idea dell’Umbria incentrata su aree allargate su cui costruire nuove politiche per i servizi, per la cultura, per il lavoro, mettendo a leva relazioni e sinergie con i territori confinanti extraregionali.
Quante Asl? Quante Province e con quali confini? Invertiamo il ragionamento: quali politiche, quali idee e quali proposte per fronteggiare la crisi e per un nuovo sviluppo equilibrato delle città e dei territori dell’Umbria?
Quale idea per una nuova fase del regionalismo umbro? Insomma – conclude Galanello – facciamo pure di tutto per provare a salvare il salvabile ma non perdiamo questa rara occasione per guardare avanti con idee e strategie nuove. Per ricostruire la speranza e la fiducia degli umbri ed in particolare delle nuove generazioni che stanno pagando il costo più alto della crisi”.
E se, invece, per mettere tutti d’accordo si scegliesse ( un po’ come fece la Germania nel dopoguerra) di decentrare – visto che non si può semplicemente cancellare – tutto in periferia? Una unica direzione Usl da una parte, una unica Provincia dall’altra, ma entrambe nel più spopolato comune della zona








